Il figlio di Toto Cutugno: «Scoprii di essere suo figlio dalla Settimana Enigmistica»
Niko al Corsera: «Mio padre non aveva la più pallida idea di quanto costassero il pane o il latte: se dovevo tagliarmi i capelli mi metteva in mano centinaia di euro»

archivio Image / Spettacolo / Toto Cutugno / foto Beescoop/Image
Il Corriere della Sera intervista Niko Cutugno figlio di Toto famoso cantautore italiano. Niko è nato dalla relazione col cantautore e una donna conosciuta in aereo, un amore improvviso, mentre Toto era già sposato. Non ha mai scelto tra le due famiglie, portando avanti una doppia vita. Tutto questo lo ha raccontato il figlio nell’autobiografia «fino all’ultimo respiro».
Come ha scoperto di essere suo figlio? «Dalla Settimana Enigmistica».
Cioè? «Un pomeriggio del 1996. Sulla copertina della rivista c’era la sua foto. Mio nonno materno non resistette più, lo indicò e mi disse: “Quello è tuo padre”».
Al piccolo Niko aveva raccontato di essere un ingegnere costretto fuori per lavoro a lungo.
Perché secondo lei Cutugno ha fatto la scelta di non rompere il suo matrimonio e, al tempo stesso, di coltivare una seconda famiglia? «La risposta più semplice è che per entrambe le donne provava amore, anche se di tipo diverso e che amava troppo suo figlio».
E la risposta più difficile? «Era un artista». Vuole spiegare meglio? «Un artista deve pensare se stesso in grande e quindi convincersi di possedere il diritto ad avere tutto. Anche due famiglie, se necessario».
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Una vita condotta a singhiozzi, ma a tratti normali per quanto possa essere normale per un fenomeno come Tuto Cutugno
Un ricordo di quella «normalità»? «Mi piaceva andare a pesca. Un giorno mi accompagnò: a lui però interessava parlare con me, il tempo trascorso insieme era prezioso. Il punto è che il brusio spaventava i pesci. Gli chiesi di stare in silenzio per un po’ e lui, di colpo, si inabissò nella malinconia».
E poi c’erano le cose di tutti i giorni, la paghetta, i consigli, magari i rimbrotti. «Mio padre non aveva la più pallida idea di quanto costassero il pane o il latte: se dovevo tagliarmi i capelli mi metteva in mano centinaia di euro. Oggi lo capisco: lui viveva in un mondo parallelo, con manager, autisti, assistenti».
Lei nel suo racconto è molto onesto. Ammette di aver ceduto a una «raccomandazione». «Prima e unica volta: un conoscente di papà mi disse che se volevo entrare alla Luiss di Roma poteva darmi una mano. Risultato: non venni ammesso, complice anche l’essermi presentato dopo una notte molto allegra».