Il silenzioso trionfo di Benitez, il vincente che non si mette in posa. Per De Laurentiis gestirne la successione non sarà facile

A guardare bene, non c’è quasi in nessuna foto. Per fortuna persino nel suo essere discreto non è integralista e quindi da qualche scatto si è lasciato immortalare. Il vero leader, in fondo, fa così. Conduce le truppe al successo e poi le guarda gioire. Non si è piazzato davanti a tutti, quasi a contendere […]

A guardare bene, non c’è quasi in nessuna foto. Per fortuna persino nel suo essere discreto non è integralista e quindi da qualche scatto si è lasciato immortalare. Il vero leader, in fondo, fa così. Conduce le truppe al successo e poi le guarda gioire. Non si è piazzato davanti a tutti, quasi a contendere la coppa al capitano. Non è nel suo stile, lo sappiamo. E lo ha confermato a Doha. 

È stato paziente anche ieri sera. E nei giorni scorsi. Quando attorno a lui si respirava un’atmosfera elettrica. “Per noi è la partita dell’anno, per lui sarà come un’amichevole estiva”. Me lo ha scritto Gianluigi Trapani la notte prima degli esami. Il cantiniere, il chiattone, quello che non capisce l’italiano. Mamma mia, quante gliene hanno dette. Ci intristiamo noi per loro. E quante ne ha giocate di finali Rafa, di quelle che contano eh. Ne ha vinte e ne ha perse. Perché nello sport si perde. Perché è la sconfitta che ti forgia, come dice Marcelo Bielsa l’unico (con Klopp) che potrebbe colmare l’immenso vuoto che Rafa lascerà. Finali di Champions, di Europa League, di Coppa Intercontinentale, di Supercoppa europea. L’abitudine all’adrenalina. Anzi, probabilmente senza adrenalina non si diverte. Come tutti i fuoriclasse. 

È stata la sua serata. La serata in cui, uno dopo l’altro, sono cadute tutte le bugie dette sull’unico allenatore che non ha sfruttato Napoli come trampolino di lancio. Ha schierato la miglior formazione possibile. Ha lasciato in panchina un Mertens che è l’ombra di se stesso e piazzato De Guzman, un nazionale olandese che qui qualcuno aveva scambiato per uno scarto della serie B. Ha riproposto Hamsik e si è ritrovato un Higuain caricato dalla verbale (perché solo verbale può essere) concorrenza con Zapata, un altro giocatore rigenerato dalla sua cura, che fino a ieri a Napoli deridevano e che ieri qualcuno avrebbe voluto in campo dal primo minuto. Ah l’echilibrio… 

Abbiamo giocato con l’handicap di un gol subito al quarto minuto. La squadra che non ha carattere e che non sa recuperare ha rimontato due volte (e non parliamo dei rigori perché in fondo sono una lotteria). Ha colpito due pali. Ha sfiorato il gol con Callejon e ha fatto esaltare Buffon con Higuain. Insomma, il Napoli ha giocato. Ha lottato e alla fine ha vinto.

Lui, Benitez, si è goduto i frutti del suo lavoro. Il recupero di Gargano, che schierò già contro l’Athletic Bilbao tra i fischi del San Paolo. Si è goduto la seratona di Rafael, cui prima o poi insegnerà anche a governare l’area sulle palle alte. Si è goduto De Guzman. Ghoulam. E il ritrovato Higuain, ovviamente. Ha vinto due trofei in sei mesi. Soprattutto, ha provato a far capire all’ambiente Napoli che il lavoro paga, che occorre pazienza, che non bisogna sbraitare alle prime o anche alle seconde contrarietà. Ha provato, sta provando, a introdurre nel Napoli e a Napoli un metodo di lavoro. Lo ha detto chiaramente nell’ultima conferenza stampa: questa è la mia idea, credo che se remiamo tutti nella stessa direzione è meglio, ma in caso contrario io non cambio idea perché qualcuno mi critica. Traduzione: se mi seguite è meglio, altrimenti io vado per la mia strada. E sarebbe bello sapere se e quanto l’ambiente abbia influito sulla sua decisione finale. 

Se n’è stato in disparte ieri sera. Avrà ascoltato o gli avranno riferito le parole di De Laurentiis. Conosciamo l’uomo. In fondo, esprime concetti condivisibili in termini poco urbani. Spesso scivola sul buon gusto. Prova a rubare la scena alla squadra; si rifugia nell’amore per Napoli per giustificare quel che oggi appare come un addio sicuro. De Laurentiis ha tanti meriti. Sul Napolista per averlo ribadito più e più volte ci siamo presi l’accusa di essere a libro paga. Uno dei più grandi meriti è aver portato Benitez a Napoli. Un allenatore superiore alle nostre possibilità, calcistiche e non. Probabilmente non ce lo possiamo permettere. Né economicamente né come ambiente. È troppo per noi. Non reggiamo.

La speranza è ovviamente l’ultima a morire. Ma De Laurentiis dovrà mostrare tutte le sue doti di imprenditore nel gestire l’eventuale dopo Rafa. Sarà probabilmente il momento più difficile della sua gestione. I precedenti passaggi cruciali li ha governati egregiamente: il dopo Marino e Donadoni, e il post Mazzarri. Il Napoli ha sempre fatto un passo in avanti. Nel dopo Mazzarri, poi, i salti in avanti sono stati più di uno. Siamo entrati in una dimensione sportiva e calcistica a noi sconosciuta (tranne la parentesi marziana). Non ce ne siamo resi conto, ma in un anno e mezzo abbiamo battuto Arsenal e Borussia Dortmund, abbiamo considerato la Champions League un traguardo dovuto e quasi quasi lo scudetto come il minimo garantito. Ormai diamo per assodato che quando acquistiamo un calciatore – a prescindere dai lamenti di rito – questi sarà all’altezza del compito. Come se fosse normale. Di fatto in due anni abbiamo sbagliato soltanto Michu e a causa di un infortunio. 

Il cantiniere ha le spalle larghe, è un conoscitore di calcio come pochi. De Laurentiis lo sa, è merito suo avercelo fatto conoscere. Ora non si rifugi nella sceneggiata populistica e oleografica. Altrimenti fa il piagnone pure lui. Il Napoli non finirà con Benitez, è ovvio. Ma non riduciamo tutto a Capri e alla nebbia. L’uditorio non è così stupido, e il presidente lo sa. Non meritiamo un trattamento del genere. Continui a trattarci da adulti, come fa a costo dell’impopolarità. E, soprattutto, non sottovaluti il presente. È stato avviato un processo di internazionalizzazione, come ha sempre dichiarato. Non fermiamolo. Se Napoli ha ammirato e ammira Gonzalo Higuain è perché c’era e c’è Rafa Benitez in panchina. Continuiamo su questa strada, scegliamo un timoniere che non capisca il calcio italiano. Ne abbiamo bisogno. E, possibilmente, un uomo che si senta a suo agio quando sale la tensione. E pazienza se altri non la reggono.   

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