Paolo Rossi: “Mi rivedo in Mertens per la sua evoluzione da esterno a prima punta. Anche se lui ci è arrivato più tardi di me”
Intervistato dal CorSera: "Non sono un malato di calcio. La finale Italia-Brasile di Messico 70 mi ha segnato. Avevo 14 anni, ma mi ci sono immedesimato, mi vedevo in campo a giocarla"

Il Corriere della Sera intervista Paolo Rossi. L’eroe del Mondiale 1982, quando segnò 6 gol in 3 partite. Ha appena scritto, per Mondadori, la sua autobiografia per raccontare la sua storia di calcio e non
«Per tenere fresca la memoria e vivo il ricordo. Che non è solo mio. È degli anni 80, di quel Mondiale che ha lasciato un ricordo bello, positivo».
Dice di rivedersi un po’ in Aguero, del Manchester City
«anche lui gioca sull’anticipo».
Per quanto riguarda l’Italia, invece, scarta il paragone con Inzaghi
«io ero più tecnico… Al limite mi rivedo in Mertens del Napoli, per la sua evoluzione da esterno a prima punta. Anche se lui ci è arrivato più tardi di me».
Paolo Rossi racconta la sua carriera alla Juventus, il passaggio al Lanerossi Vicenza, con Fabbri, la promozione in Serie A.
«Fabbri dava gli stessi consigli di un padre. Spesso mi invitava a pranzo a casa sua. Se lo immagina oggi un calciatore che va a pranzo a casa di Conte o Mourinho?».
Racconta di Bearzot.
«Un uomo non facile. Quando ti parlava non aveva l’aria paterna. Era un po’ rigido. Buono, ma rigido. A volte, poche, ti dava una carezza. Ma più spesso usava il bastone».
Si dipinge come competitivo.
«Già ero super competitivo di mio. Poi ci sono stati gli infortuni e tutto il continuo di alti e bassi a rafforzarmi».
Oggi Paolo Rossi è opinionista alla Rai. Segue le partite della Nazionale. Spiega che il ricordo dei Mondiali e gli scontri feroci con i giornalisti ancora lo influenzano.
«Un po’ sì, cerco di misurare le parole: ci sono passato, so come ci si sente. Quello che vedo lo dico, ma sto molto attento al modo».
Aver giocato a calcio fa la differenza.
«Parecchi giornalisti di oggi sono più preparati di molti dell’epoca, ma certe cose le percepisci solo se hai giocato: per esempio certi movimenti o come un giocatore si rapporta con un compagno».
Racconta di non essere malato di calcio, di guardare solo poche squadre in televisione.
«Alcune di Champions: il City, il Barcellona. Però se una partita non mi piace, dopo 10 minuti mollo. Non sono un malato di calcio».
Tra tutte le partite viste in tv una lo ha colpito in particolare.
«La finale Italia-Brasile di Messico 70. Quella mi ha segnato. Avevo 14 anni, ma mi ci sono immedesimato, mi vedevo in campo a giocarla».
Le succede ancora?
«Qualche volta. Il fisico non funziona più, ma la testa sì. E mi ritrovo a dire cose tipo “io sarei andato sul primo palo!”».