La lezione di Sinisa: non aver paura delle proprie debolezze significa non esserne prigioniero
Emanuela Audisio su Repubblica: «Lo sport è il mondo dei forti, di chi vince sempre, per questo ammettere di essere ammalato è visto come una sconfitta»

Un pulcino invecchiato e spettinato, che per due giorni si è chiuso in camera, senza dire niente a nessuno, senza confidarsi, ma solo a bagnarsi di lacrime.
Descrive così Emanuela Audisio il Sinisa Mihajlovic che ha parlato ieri in conferenza stampa per spiegare la sua malattia, per confidare le sue paure e la sua voglia di fare battaglia e vincere. Un ritratto molto diverso dal quello del “l’allenatore sergente” a cui si era abituati. È stato un duro colpo per il tecnico, per l’uomo abituato a comandare se stesso e gli altri, che si è ritrovato ad accettare una malattia che capovolge le tue certezze e il tuo modo di essere.
Lo sport ti abitua ad addii che sono morti simboliche, devi separarti da quello che eri, ma quando ti costringe a fare i conti con quello che sei, umano, è uno sgambetto insopportabile.
Sei umano e soffri
È un attimo in cui ti rendi conto che non sei più invincibile, che non puoi più applicare schemi per tutto. Sei umano e soffri. Però poi ti rialzi e deicidi di affrontare tutto e spieghi a tutti come procederai, passo per passo. È questo che ha fatto ieri l’allenatore del Bologna in conferenza. Un duro colpo per chi si è sempre allenato ed era in salute fino a pochi mesi fa, per questo Sinisa insiste sulla prevenzione e l’importanza di non dare mai nulla per scontato.
Lo sport è il mondo dei forti, di chi vince sempre, per questo ammettere di essere ammalato è visto come una sconfitta. Ma Mihajlovic ieri ha abbattuto anche questo tabù, aggredendo la sua malattia e mettendo in campo fin da subito la tattica con cui intende sconfiggerla.
Prima di lui altri allenatori avevano affrontato in maniera diversa la malattia, nascondendosi per paura che la fragilità di quella condizione minasse la loro autorevolezza.
Ma Sinisa non ha avuto paura di dichiarare che questa volta tocca a lui giocare, combattere, impegnarsi. Non è la retorica di chi abusa di un gergo sportivo, ma di chi sa che la malattia non sei tu. E che l’unica lezione che puoi dare sempre e comunque alla tua squadra è “Niente lacrime di bue”. Sorridere e lavorare. Si può prendere la botta, non essere più invincibili, ma se non hai più vergogna della tua debolezza, vuol dire smettere di essere prigioniero. Segui la forza, Sinisa.