Jacobs: «Io declassato dalla Federazione e Tamberi no? Lui sa mantenere i rapporti, io non riesco a fingere di fare l’amico»

A La Stampa: «Non sento il richiamo della pista e questo un po' mi preoccupa. Il caso spionaggio del fratello di Tortu non è stato percepito nella sua gravità»

Dc Roma 30/08/2024 - IAAF Wanda Diamond League Golden Gala Pietro Mennea / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: Marcell Jacobs-Gianmarco Tamberi

Jacobs: «Io declassato dalla Federazione e Tamberi no? Lui sa mantenere i rapporti con le persone, io non riesco a fare l’amico»

Marcell Jacobs intervistato da La Stampa a firma Giulia Zonca.

Tre mesi dopo come sta?

«Ancora in fase di riflessione. Sono successe troppe cose che mi hanno fatto perdere la scintilla».

Non è ripartita?

«Fatico a tenerla accesa. Sto bene, ho passato del tempo con la mia famiglia, ho smaltito la delusione, ma mi manca il primo passo: la voglia di andare in campo ad allenarmi che poi si porta dietro tutto il resto. Mi sono sempre tenuto in forma, il mio corpo necessita movimento e non sono il tipo che si stravacca sul divano».

Sente il richiamo della pista?

«No, zero e questo un po’ mi preoccupa».

Jacobs: «Resto in Florida e ho fatto un discorso molto chiaro al mio allenatore Rana Reider. Se ricomincio mi servono garanzie, vengo da una stagione complicata perché lui è partito per la Cina, dove sarebbe dovuto restare un breve periodo che comprendeva i campionati asiatici, le tappe di Diamond League e il Mondiale di staffetta a cui non ho partecipato per qualche problema muscolare. Per un motivo o per un altro, non è più tornato, è rimasto là. Credevo di potermi gestire a 31 anni, ma vale solo fino a che va tutto liscio».

Ha avuto le rassicurazioni che cercava?

«Sì, se riprendo non posso permettermi errori. Quando Reider è presente per me è ideale: dopo un 2023 deludente sono tornato al mio miglior livello e ho corso una finale olimpica in 9”85. Rana mi ha detto: per me puoi fare anche meglio e mi ha già proposto dei lavori tecnici intriganti».

La federazione l’ha declassata: è negli atleti di punta, ma non più tra i top. Come glielo hanno spiegato?

«L’ho letto, ero consapevole e non mi sono posto il problema. Già nel 2025 non ho avuto accordi con loro. Con la finale a Parigi ho dimostrato di esserci, non mi pareva di essere da buttare via, invece mi hanno presentato nuovi parametri. Li rispetto, poi scopro che per altri, a parità di condizioni, è andata diversamente: mi sento preso in giro».

La federazione lamenta una scarsa condivisione.

«Mi sono comportato come quando stavo in Italia. Ci pensa l’allenatore a comunicare i programmi. Non si sono mai messi in contatto con Rana che avrebbe risposto a ogni domanda, ma non le volevano fare. A gennaio, colpa mia, non avevo l’abilitazione sportiva e la federazione voleva mandare a tutti i costi un tecnico qui. Avevo bisogno di un medico e loro cercavano di controllarmi. Non il massimo. Devo ringraziare le Fiamme Oro che hanno risolto».

Lascia il rapporto così? Interrotto?

«Lo hanno interrotto loro e se mi tolgono dagli atleti top vuol dire che non hanno interesse per me. Prendo atto».

Si stupisce che Tamberi, l’unico con un percorso simile al suo, resti nell’élite?

«No, lo conosco, sa mantenere i rapporti con le persone, caratteristica che al presidente Mei piace. Io ho un altro carattere, non riesco a fingere di fare l’amico».

Altra spina. Il caso spionaggio: l’inibizione di Giacomo Tortu lo chiude?

Jacobs: «La situazione non è stata percepita nella sua gravità. Mi ha destabilizzato e travolto: pagare qualcuno per frugare negli affari miei è inconcepibile, definisce, a prescindere dalle questioni penali, che c’è un livello di invidia fuori controllo. Resto turbato, è stata violata la mia privacy e da una persona con cui ho condiviso la maglia della nazionale nel 2014, qualcuno che conoscevo».

Parla di Giacomo. È credibile che il padre e il fratello non sapessero nulla?

«Non metto la mano sul fuoco per nessuno e non ho voglia di ipotizzare scenari. Non ho elementi, fare congetture mi stancherebbe e basta, non mi interessa dare colpe. È più rilevante il modo in cui si vivono le rivalità: mi ricordo benissimo il periodo in cui Filippo mi rompeva le gambe a ogni gara e io sapevo che l’unico modo per batterlo era lavorare. Non ho mai avuto altri pensieri ed ero convinto che fosse l’unico definizione di sport. Evidentemente non è così».

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