Borg: «Nel 1973 arrivai a Wimbledon e vidi tutte quelle ragazze… cambiò tutto»

L'intervista al Paìs: "Ho smesso a 26 anni perché ero solo, aver lasciato tutto è il mio grande rimpianto. I tennisti di oggi hanno una squadra che li aiuta

Borg Sinner

(FILES) Former Swedish tennisman Bjorn Borg attends the trophy ceremony after Spain's Carlos Alcaraz won his men's singles final match against Germany's Alexander Zverev on Court Philippe-Chatrier at the Roland Garros - Paris on June 9, 2024. (Photo by EMMANUEL DUNAND / AFP)

Björn Borg in vecchiaia (se si può dire vecchio a uno come Borg) ha cominciato a parlare con i giornalisti come mai aveva fatto nella sua vita precedente. Miracoli della promozione editoriale: l’autobiografia scritta a mano dalla moglie sta andando bene. “In realtà – dice intervistato dal Paìsmi sono sempre sentito a mio agio con i giornalisti; non è mai stato un problema. Ma quando giocavo a tennis a livello professionistico, non mi lasciavano mai solo. Era quello il problema. Non importava dove fossi, in un hotel o in un ristorante: c’erano sempre fotografi e gente ovunque, e io volevo la privacy. Ma non ho mai, mai avuto problemi con loro”.

E’ stato vicino alla morte, “un paio di volte. Una volta a Milano per un’overdose di tranquillanti, nel 1989; e l’altra volta in Olanda per alcol e pillole. Ho attraversato periodi bui negli anni Ottanta; è stato difficile perché ho dovuto affrontare tutto. Quando mi sono ritirato non avevo nemmeno 26 anni. Non avevo più motivazione per continuare a giocare; non mi divertivo più. Ma ciò che rimpiango di più è aver abbandonato completamente il tennis. Avevo molti amici in tutto il mondo, e non ho dovuto lasciarli, ma l’ho fatto; avevo molti contatti e potevo andare ai tornei, ma ho rinunciato anche a quello. Ho iniziato una vita completamente nuova, senza nulla a che fare con il tennis. E me ne pento profondamente”.

Dice di essere stato molto forte mentalmente come tennista, “ma restare in vita non è stato facile. Alla fine, ho pensato che dovevo fare qualcosa per tornare a vivere, perché la vita è troppo preziosa e io voglio vivere. Ecco perché ho deciso di tornare a Monte Carlo nel 1991. Non che volessi tornare a giocare a tennis, ma avevo bisogno di un programma, di fare qualcosa ogni giorno; se non l’avessi fatto, non credo che saremmo qui seduti a parlare oggi. Nessuno sapeva esattamente perché sono tornato a giocare a tennis, ma da lì, a poco a poco, ho iniziato a rimettere in carreggiata la mia vita. Sono contento di averlo fatto”.

“L’ultima volta che sono uscito a far festa è stato 26 anni fa, sono felice da molti anni. Perché ho preso decisioni così stupide allora? Quegli anni bui, con tutti quei demoni dentro di me, sono stati terribili. Ma sono sopravvissuto, ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta. E questo mi ha dato molta soddisfazione”. 

“La mia vita era il tennis, l’allenamento, il mangiare, il dormire… E mi sono divertito per molti anni. Ero molto professionale in quello che facevo. Poi, a 26 anni, ho… ho smesso. È stata la decisione giusta? All’epoca mi sembrava di sì, ma se guardi i giocatori di oggi, o i giocatori di molti anni fa, hanno una squadra e molte persone intorno a loro. Se si svegliano la mattina e non si sentono bene, c’è qualcuno lì che dice loro cosa fare e cosa non fare. Se qualcosa va storto, chiedono aiuto. Ma non avevo tutto questo. Sono stato il primo ad avere un allenatore, ma se avessi avuto una squadra prima di prendere questa decisione, forse mi avrebbero detto: “Prenditi tre mesi, riposati e fai quello che vuoi. E poi forse ti sentirai più a tuo agio e felice, e forse cambierai idea e tornerai”. Ma ero solo; non avevo alcun aiuto. E mi chiedevo: “Chi sono io?”

“Alla fine, andavo in campo, giocavo, tornavo in hotel, rimanevo nella mia stanza e ordinavo il servizio in camera. Camere… Voglio dire, non potevo andare da nessuna parte. All’inizio è divertente, ma anno dopo anno diventa dura non potersi muovere, e continuavo a chiedermi: “Questa sarà la mia vita per i prossimi 10 o 15 anni, se non di più?”. All’inizio degli anni ’70, soprattutto nel 1973, sono arrivato a Wimbledon e ho visto tutte quelle ragazze. Da quel momento in poi, tutto è cambiato”.

Era un altro tennis: “Se confrontiamo la nostra generazione con quella attuale, la differenza più grande è che ora i giocatori colpiscono la palla con molta più forza. È il modo più semplice per spiegarlo. Ma penso che se guardiamo ai tennisti di oggi, vediamo ancora molti che competono dal fondocampo, anche se sono molto aggressivi. Mi piace guardare giocare Sinner e Alcaraz, per esempio. Il tennis che giocano è incredibile. Le partite che giocano sono incredibili. A Sinner piace essere un po’ più aggressivo, ma anche Carlos può esserlo. A Jannik piace attaccare da fondocampo, ma Alcaraz ha un buon tocco; sa fare un sacco di cose con la palla. Ecco perché mi piace così tanto guardarli giocare”.

“Mi piacciono molto gli sport di squadra, sono fantastici. Per esempio, mi è piaciuto molto giocare in Coppa Davis, e se non fossi stato un tennista, probabilmente sarei stato un giocatore di hockey su ghiaccio, senza dubbio. Ora, è un bene o un male? Non lo so… Per scegliere il tennis, penso che bisogna essere un po’ egoisti. Sei solo in campo, e vinci o perdi, ma lo fai per te stesso. Perché sei l’unico che l’ha fatto. Quando vinci partite, vinci tornei o qualsiasi altra cosa… ho fatto tutto da solo. Penso che, in un certo senso, chiunque scelga questo tipo di sport individuali sia un po’ egoista. E credo che sia per questo che ho scelto il tennis”.

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