Joe Jordan e il faccia a faccia con Gattuso: «Era stato espulso, credo abbia perso un po’ la testa»
Alla Gazzetta: «Per nessuna ragione avrei permesso si andasse oltre: come giocatore, quando sei in preda alle emozioni, puoi fare cose di cui poi ti penti, ma da allenatore devi avere sempre disciplina».

AC Milan's midfielder Gennaro Ivan Gattuso (R) argues with Tottenham's assistant coach Joe Jordan during their Champions League match on February 15, 2011 in San Siro Stadium in Milan. AFP PHOTO / GIUSEPPE CACACE (Photo by GIUSEPPE CACACE / AFP)
L’ex Milan Joe Jordan ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport parlando dei suoi anni in Italia
Il suo impatto col calcio italiano?
«Arrivai con mia moglie e i miei tre figli e la società, allora il proprietario era il signor Colombo, si prese cura di me. La moglie del signor Colombo portava spesso mia moglie al supermercato. Adattarsi alla vita in Italia avrebbe potuto essere un problema, invece non lo fu mai. Il problema era vincere le partite: il Milan era un grande club, ma quello era un momento difficile. Prima che arrivassi io erano stati in Serie B (retrocessi per il Calcioscommesse, ndr) ed erano appena tornati in A».
Nella sua prima stagione italiana il Milan retrocesse in Serie B sul campo.
«Penso che tutti, me compreso, dobbiamo accettare la responsabilità di non aver fatto meglio, perché avremmo decisamente potuto fare meglio. Non ci fu un singolo fattore a determinare la nostra retrocessione, ma un insieme di tante cose».
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In quel Milan c’erano Franco Baresi e Mauro Tassotti.
«Erano giovani, ma avevano già tanta esperienza: Franco, ad esempio, aveva già vinto uno scudetto. Erano tutti bravi ragazzi, mi hanno aiutato: ricordo che andavo spesso agli allenamenti in macchina con Buriani, Tassotti, Antonelli. C’erano tanti bravi ragazzi diventati poi ottimi giocatori, non solo Baresi e Tassotti».
Tra compagni e avversari, chi l’ha impressionata di più in Italia?
«La Juve, che aveva sia stranieri che italiani di altissimo livello. Ma i giocatori italiani di quegli anni… l’Italia vinse il Mondiale nel 1982. E io ricordo che andai alla finale».
Come?
«Ero a Marbella con degli amici, Franco Baresi mi procurò i biglietti e andammo a Madrid, nel ritiro dell’Italia. Incontrai Franco, Marco Tardelli e tanti altri. Era difficile scegliere il migliore di quell’Italia, erano tutti fortissimi. Tifai Italia ovviamente, dopo la finale andai a festeggiare ma eravamo nello stesso albergo della Germania: incrociai 5 giocatori in ascensore e non erano felici. Quella finale la vinse la squadra migliore».
Perché la chiamavano Lo Squalo?
«Non lo so, forse perché non avevo due denti davanti, persi per un calcio in bocca nella mia prima partita in Inghilterra, dove ero arrivato a 18 anni dalla Scozia. Ho aspettato fine carriera per una soluzione permanente, quando arrivai al Milan ne avevo perso anche un altro».
Un’altra cosa di cui i tifosi si ricordano è l’incidente tra lei e Gennaro Gattuso nel 2011.
«Penso che lui abbia perso un po’ la testa: era stato espulso, doveva uscire dal campo, mi passò davanti e ci fu un faccia a faccia. Per nessuna ragione avrei permesso si andasse oltre: come giocatore, quando sei in preda alle emozioni, puoi fare cose di cui poi ti penti, ma da allenatore devi avere sempre disciplina. Sono sicuro che adesso che è allenatore anche lui la pensa allo stesso modo. Per me comunque era già tutto finito dopo la partita».











