Spalletti alla Juve? Bene. Ma Conte è il primo tifoso del Napoli, del suo Napoli, ovviamente, restando juventino

POSTA NAPOLISTA - Lettera di Francesco Marfè. Conte fu chiaro fin dal primo giorno di ritiro, quando si rifiutò di saltare al coro “chi non salta juventino è”. Non rinnegò la sua storia

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Chelsea's manager Antonio Conte speaks with Inter Milan's coach Luciano Spalletti (L) before the start of their International Champions Cup football match in Singapore on July 29, 2017. (Photo by Roslan RAHMAN / AFP)

Spalletti alla Juve. Bene.

Ora abbiamo un allenatore juventino sulla panchina del Napoli e un allenatore con il simbolo del Napoli tatuato sul braccio sulla panchina della Juve.
E secondo me non c’è niente di male.

Spalletti non ha sbagliato ad andare alla Juve.
Semmai ha sbagliato quando disse che non avrebbe più indossato nessun’altra tuta in Serie A: quella sì, fu una sciocchezza.

Molto più apprezzabile, da questo punto di vista, Conte: fu chiaro fin dal primo giorno di ritiro, quando si rifiutò di saltare al coro “chi non salta juventino è”. Non rinnegò la sua storia, e non ha mai smesso di ribadirlo. Io lo apprezzai tantissimo.
Eppure la gioia nei suoi occhi sul bus scoperto, dopo lo scudetto, era palpabile e genuina. È il primo tifoso del Napoli, del suo Napoli, ovviamente, restando juventino. E va benissimo così.

Perché essere professionisti non significa essere mercenari.
Significa fare il proprio lavoro con serietà, rispetto e passione — con buona pace dei tifosi (napoletani o juventini) che credono che firmare un contratto equivalga a un atto di matrimonio.
Un cambio di panchina non è un atto di lesa maestà!

Anche su questo, Conte sta dando una lezione a Napoli e ai napoletani.
E chissà che Spalletti non riesca a fare lo stesso a Torino.
Per ora, è ancora vittima della sua stessa retorica… Vedremo.

Detto questo, a Spalletti non si può non voler bene.
Non si può non provare un infinito debito di gratitudine.
Lo scudetto di Conte è stato bellissimo, ma quello di Spalletti — dopo trent’anni — resta qualcosa di insuperabile.

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