Mexes: «Ibrahimovic ci traumatizzava, “O mi passi la palla bene o sono guai, capito?”»
Alla trasmissione Kampo: «È un competitivo, un vincente, uno che trascina la squadra verso l’alto. Ma ti traumatizza! Ha traumatizzato tanta gente, davvero»

Db Milano 18/12/2010 - campionato di calcio serie A / Milan-Roma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Zlatan Ibrahimovic-Philippe Mexes
In un’intervista al giornalista Smaïl Bouabdellah su YouTube, durante la trasmissione Kampo, l’ex difensore – tra le altre, di Roma e Milan – Philippe Mexes ha raccontato tante avventure della sua carriera. Ha parlato di Raymond Domenech con cui non ha mai avuto un gran rapporto: «Non sopportavo l’allenatore, nemmeno durante l’Under 21. Non mi è mai piaciuto».
Leggi anche: Domenech: «Ho visto l’Italia di Gattuso contro Israele, vi ha salvato Donnarumma, giocate male»
L’ex centrale torna sul il mito che per anni è stato accostato al nome del tecnico: le convocazioni fatte guardando le stelle e i segni zodiacali «L’Ariete non gioca con lo Scorpione, lo Scorpione non gioca con il Toro… Credo che ci creda, è strano».
Poi passa alle sue esperienze italiane e ai suoi compagni. Uno di questi è stato Zlatan Ibrahimovic, con il quale il difensore francese ha condiviso lo spogliatoio del Milan per una stagione, quella 2011-2012: «Non direi egoista, è troppo dire così. È un competitivo, un vincente, uno che trascina la squadra verso l’alto. Ma ti traumatizza! Ha traumatizzato tanta gente, davvero».
Mexes ha inserito l’attuale dirigente rossonero nella lista dei giocatori più forti mai visti in campo, insieme a Messi e Ronaldo. Con lui era sempre battaglia. Tra tutti i centravanti con i quali ha dovuto fare i conti, è quello che lo ha più impressionato: «Ha la mentalità da vincente, da killer, è sicuro di sé. Ho giocato con lui per un anno e poi tante volte contro. È tosto».
Giocare con Ibra era tutt’altro che facile: «Se non gli dai la palla, o se non gliela dai bene, ti manda a quel paese. L’ho visto farlo con tanti giocatori, anche con gente giovane come El Shaarawy. Li ha traumatizzati. A lui serve il pallone perfetto, il passaggio perfetto. Questo mette molta responsabilità su chi deve servirlo».
Mexes ha spiegato che soprattuto per i giovani era complesso: «Soprattutto loro, tipo El Shaarawy che aveva 17 anni, non erano abituati a essere traumatizzati così, a sentirsi addosso qualcuno che ti dice: ‘Oh, me la dai bene o sono guai, capito?’. Si arrabbiava, metteva pressione, perché era competitivo, voleva vincere ogni partita. Mi ha impressionato perché anche negli allenamenti era la stessa cosa: bisognava vincere sempre. Era un combattente continuo, ogni esercizio era una battaglia di 90 minuti. Non avevi un secondo per respirare o distrarti».