Lautaro: «Sì, mi sento sottovalutato, forse è una questione di immagine, di marketing. La povertà mi ha formato»
Lunga intervista a France Football: «Sono un maniaco della pulizia, volevo che i miei genitori trovassero la casa pulita. Facevo il difensore, mi piace ancora farlo»

Db Milano 27/04/2025 - campionato di serie A / Inter-Roma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Lautaro Martinez
Lautaro: «Sì, mi sento sottovalutato, forse è una questione di immagine, di marketing. Non rinnego la mia povertà»
Lunga intervista di France Football a Lautaro Martinez. Ne pubblichiamo qualche estratto:
In quali condizioni sei cresciuto?
«Mio padre era un calciatore, ha giocato in diverse città. Quando è tornato a Bahia Blanca, i miei genitori erano senza lavoro e eravamo in una situazione finanziaria complicata. Non entravano soldi. Abbiamo dovuto scegliere tra pagare l’affitto o mangiare. Un amico poi ci ha prestato una casa e abbiamo vissuto lì per due anni. Sono davvero grato a queste persone che ci hanno aiutato, anche ai miei genitori, perché hanno fatto di tutto perché non ci mancasse mai nulla».
Questa povertà ti ha segnato?
«Profondamente, sì. Oggi apprezzo tutto, ogni piccola cosa ha un valore. A quel tempo, i miei genitori pensavano a noi prima di tutto, in modo che potessimo avere un piatto da mangiare. A volte non mangiavano. Se dovesse essere fatto di nuovo, sceglierei di vivere questa stessa infanzia, questa stessa vita quotidiana che mi ha fatto crescere e imparare».
Dicono che tu sia un maniaco della pulizia…
«Sì, lo sono. Mi piace molto l’ordine, che tutto è pulito, perfetto. La pulizia è una delle mie terapie. Quando sono un po’ stressato, aspiro, pulisco i tavoli, al punto che mia moglie mi dice di calmarmi! Lo faccio da quando ero bambino. I miei genitori lavoravano tutto il tempo e mi piaceva che la casa fosse ordinata. Così quando tornavano a casa, non dovevano pulirla. Cercavo di dare una mano. Sono cresciuto così e continuo a farlo oggi perché mi piace».
Hai cominciato da difensore?
«Mio padre era difensore e io lo imitavo. Mi piaceva difendere, essere l’ultimo difensore. E poi, quando sono cresciuto, il mio allenatore mi ha messo in attacco e sono rimasto lì. Mi piace ancora difendere!»
Parla tanto della sconfitta in Champions per 5-0 contro il Psg.
«È stato molto, molto doloroso. Mi è costata molto, ho fatto fatica ad accettarlo, perché eravamo molto fiduciosi e ben preparati. Nulla è andato come sperato e il dolore è stato ancora più grande. Queste sono cicatrici che devono essere curate col tempo».
Dice: «Non siamo stati noi. (…) Ho provato impotenza. Non abbiamo potuto applicare ciò che avevamo preparato. È quello che ci ha fatto incazzare di più».
Lautaro, Simone Inzaghi e il giudizio degli altri
In che misura il futuro di Simone Inzaghi ha influenzato questo brutto finale di stagione?
«Zero. Ognuno è libero di fare le scelte che vuole. Il mister ci ha informato che aveva ricevuto un’offerta, che stava per andarsene (si è unito all’Al-Hilal il 4 giugno, prima del Mondiale per club). Eravamo concentrati sui nostri obiettivi. Ha sempre dimostrato professionalità. Siamo stati molto bene con lui. Era la nostra testa pensante. Anche il finale di stagione ha generato tensioni».
Qualche tempo ha polemizzato per il settimo posto al Pallone d’oro vinto da Rodri.
Sei sottovalutato?
«A volte, sì. È questione di gusti. Forse è una questione di immagine, di marketing, che non mi porta dove merito di essere. Ma io do sempre il meglio per i miei compagni di squadra, per la mia maglia. È questo che conta. Cerco di raggiungere i miei obiettivi per essere in pace con me stesso. A 28 anni sono molto felice della mia carriera. Ho sempre progredito, migliorato il mio gioco e ho ancora molto da imparare. Sì, aspiro ad essere più riconosciuto. E ‘ importante. Ma prima di tutto vorrei essere riconosciuto come una persona buona e educata che si è sempre comportata correttamente».
E ancora:
«Il nostro valore, lo definiamo noi stessi mentre giochiamo, progrediamo e cresciamo. Lavoriamo prima per noi stessi. Poi ci sono tutti quelli che votano, parlano, analizzano, danno la loro opinione. A volte queste persone possono alzarsi con il piede sbagliato e dire cose brutte su di te. È anche la libertà di espressione, di commentare e criticare. Quando le persone dicono cose brutte su di te, fa male, ma sono solo parole. È soggettivo, ognuno può assegnare il valore che vuole a ciascun giocatore».
Dove si posiziona nella gerarchia globale dei migliori attaccanti?
«Tra i primi cinque, sicuramente. Non voglio dare un nome. Ognuno classifica i giocatori come vuole, ci sono attaccanti di altissimo livello. Ma quello che ho fatto negli ultimi anni mi permette di essere tra i primi cinque».