Il doping nel calcio non esiste perché non esiste l’antidoping. I calciatori godono di libertà impensabili in altri sport
Il Times: ai calciatori, in Inghilterra, non è richiesto nemmeno di dichiarare dove vanno in vacanza. L'Epo sintetica è rilevabile solo per due giorni, passati quelli bye bye

Db Torino 14/05/2023 - campionato di calcio serie A / Juventus-Cremonese / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Paul Pogba
Il doping nel calcio non esiste. È una percezione. L’Agenzia mondiale antidoping ha pubblicato i suoi dati più recenti sui test a giugno, e nonostante il calcio sia secondo solo all’atletica per numero di test effettuati, dei 35.511 campioni prelevati nel 2023, solo 89 sono risultati negativi, scrive il Times. Nella storia della Coppa del Mondo, Diego Maradona è il titolare dell’unico test antidoping positivo, e si trattava di un farmaco dimagrante contenente efedrina, nel 1994.
Il doping nel calcio è così raro che “quando si verificano situazioni che coinvolgono giocatori di alto profilo, come quelle di Paul Pogba e Mykhailo Mudryk, vengono considerate alla stregua di episodi anomali”. Ma, un’indagine del Times mette in discussione la capacità delle istituzioni calcistiche, in questo caso della federcalcio inglese, di inseguire il doping perché “i sistemi in atto per individuare un giocatore che fa uso di sostanze dopanti sono molto inferiori a quelli che vediamo in altri sport. Sono prevedibili e in maniera allarmante poco invasivi. I calciatori in Inghilterra non sono nemmeno tenuti a comunicare alle autorità dove andranno in vacanza”.
“Nel calcio – scrive il Times – le esigenze fisiche dei giocatori non sono mai state così elevate; le ricompense per il successo mai così alte. Vale la pena notare che la FA versa solo 1,55 milioni di sterline all’anno all’agenzia nazionale antidoping finanziata dal governo”. L’aveva scritto anche il Telegraph.
Il Times ne ha chiesto conto alla Federcalcio e all’antidoping inglese, l’Ukad. I quali hanno confermato che: “la maggior parte dei test antidroga fuori competizione viene condotta presso i campi di allenamento dei club e l’Ukad non conserva nemmeno i dati relativi al numero di test effettuati a casa di un giocatore o altrove; i club forniscono alla Federazione i loro programmi di allenamento e un giocatore deve fornire la propria posizione solo se sa che non sarà presente all’allenamento; un giocatore non è tenuto a fornire la propria posizione nei giorni di riposo o durante la stagione di chiusura. Le testimonianze di giocatori, allenatori e loro rappresentanti lo confermano”.
Ovviamente il confronto con gli altri sport è impietoso. La World Athletics per esempio spende 6 milioni di sterline dei suoi 40 milioni di sterline di fatturato annuo per l’antidoping. Nell’atletica, l’analisi dei campioni di Abp (il passaporto biologico degli atleti, ndr) ha raggiunto il 34%. In Inghilterra, l’Ukad ha un pool nazionale registrato che utilizza il sistema Abp per monitorare gli atleti. Le dimensioni del pool e i nomi degli atleti che lo compongono non sono di dominio pubblico, ma il Times ha appreso che vi sono pochi, se non nessuno, calciatori.
“A meno che non siano sconsiderati, gli atleti che fanno uso di sostanze dopanti proibite rimangono in realtà molto difficili da individuare. Gli atleti vengono presi di mira sulla base di una dettagliata raccolta di informazioni, nella consapevolezza che molti dei farmaci più efficaci per migliorare le prestazioni – sostanze che potrebbero giovare a un giocatore di calcio moderno ad alta intensità tanto quanto a una stella dell’atletica leggera – hanno una finestra di rilevamento molto breve per la maggior parte dei metodi di test”.
“Il microdosaggio di Epo sintetica, che aumenta il numero di globuli rossi e quindi migliora la resistenza di un atleta, può essere rilevabile per appena uno o due giorni. Lo stesso vale per l’ormone della crescita umano e il testosterone sintetico”.
“Al momento, sport come il calcio sono pienamente conformi al codice Wada. Lo seguono alla lettera. Ma i principali esperti della comunità antidoping sostengono che questo sia parte del problema. La Wada richiede solo quello che considereremmo il minimo comune denominatore, ovvero l’assenza di un controllo dettagliato dei test in gara e fuori gara. In realtà non c’è alcun incentivo a fare un buon lavoro”.
“Il calcio semplicemente non ha la voglia di sottoporre i suoi partecipanti a test allo stesso livello degli altri sport? La storia insegna che il doping corrompe lo sport quando la posta in gioco è alta”, scrive ancora il Times.