Furlani, Iapichino, Tamberi, le Williams: quando l’allenatore è papà o mamma. Come al solito, dipende dai risultati
Forse il sunto del rapporto tra genitori-coach e figli-atleti sta nelle parole di Giorgio Cagnotto: «Da quando ha smesso di gareggiare, me la godo di più»

Italy's Larissa Iapichino competes in the heats of the women's long jump during The European Indoor Athletics Championships at The Atakoy Athletics Arena in Istanbul on March 4, 2023. (Photo by OZAN KOSE / AFP)
Furlani, Iapichino, Tamberi, le Williams: quando l’allenatore è papà o mamma. Come al solito, dipende dai risultati
L’alfa e l’omega, il giorno e la notte. La sabbia, la stessa sabbia di Tokyo dove Larissa Iapichino ha litigato furiosamente con il papà Gianni e, qualche giorno dopo, dove Mattia Furlani ha vissuto assieme a mamma Khaty il giorno più bello della sua vita. Larissa e Gianni come Mattia e Seck e ancora Gianmarco (Tamberi) e Marco. E cosa dire di Tania e Giorgio (Cagnotto), o di Serena, Venus e il padre dipinto come un dittatore al punto che le figlie hanno prodotto un film per smentire questa tesi. E ancora, e ancora, e ancora. Allenare un figlio è forse una delle sfide più complesse che il mondo dello sport conosca. Un doppio ruolo che mette continuamente in bilico affetto e disciplina, incoraggiamento e pressione. Può trasformarsi in trampolino di lancio o diventare un peso insostenibile.
La pedana di Tokyo
Riflettori sulla pedana di Tokyo: da un lato padre e figlia angosciati nel loro dolore; dall’altro madre e figlio uniti nell’estasi dell’oro mondiale. Il tutto a distanza di poche ore. Attori e interpreti Larissa Iapichino, figlia di Fiona May e Gianni Iapichino. È proprio il padre ad allenarla, e il loro rapporto è spesso finito sotto i riflettori. Ai Mondiali di Tokyo 2025, davanti a un salto sbagliato, Gianni le dice nervoso: «Non so cosa dirti». Un commento che ha fatto scalpore per la durezza, mostrando quanto fiducia, delusione e aspettative si intreccino in un legame così particolare. Larissa stessa, in un’intervista, ha confidato: «A papà non si può dire no». Una frase che racchiude la forza del vincolo emotivo con il padre, ma anche la difficoltà di trovare piena autonomia in un rapporto dove il ruolo di genitore e quello di tecnico tendono a sovrapporsi.
Furlani: il modello della “mamma-coach”
Passa qualche ora ed arriva la storia di Mattia Furlani, il nuovo fenomeno del salto in lungo, allenato dalla madre Khaty Seck, ex velocista di livello internazionale. Qui il rapporto sembra poggiare su fiducia e chiarezza dei ruoli: “in pedana è la mia allenatrice, a casa è la mia mamma”, ripete spesso Mattia che vive al piano di sotto e sale a casa “per mangiare e per la lavatrice”. Mattia, dopo il bronzo olimpico, ha aggiunto «A mamma devo il bronzo alle Olimpiadi. Se ci ripenso non dormo, non sono un robot.» E ancora, dopo il trionfo mondiale, la dedica più sentita: «Col cuore resterò sempre qui a Tokyo, grazie mamma.» Frasi che mostrano come, nel suo caso, il genitore-allenatore sia vissuto come risorsa affettiva e tecnica, mai come imposizione. E lei? Lo ha protetto: “Ho scelto prima il basket per strutturarlo, poi l’atletica”. E ancora: “Quando ci ha detto che voleva fare l’atleta ho chiamato mio marito e ho detto: serve un progetto”.
Tamberi: il legame spezzato
Non tutte le storie hanno un epilogo sereno come quella di Mattia Furlani. Nel 2022 Gianmarco Tamberi, campione olimpico del salto in alto, ha interrotto la collaborazione con il padre Marco. Una decisione dolorosa, nata da anni di tensioni. In un’intervista televisiva, Tamberi ha detto senza giri di parole: «Con mio padre rapporto orrendo, difficile recuperarlo.» E ancora: «Un genitore deve aiutarti a prendere la strada giusta ma non obbligarti a scegliere quella strada. Io mi sono sentito in quel momento molto tradito dalla figura genitoriale.»
Cagnotto: un equilibrio a due voci
Più serena, ma non meno complessa, la storia di Tania Cagnotto con il padre Giorgio, leggenda dei tuffi. Il loro è stato un patto di convivenza tecnica: distinguere i ruoli e non confondere mai troppo allenamento e vita privata. È stata una ricetta che ha funzionato, pur con le inevitabili frizioni, portando Tania a diventare la più grande tuffatrice italiana di sempre. E Giorgio? “Da quando Tania ha smesso di saltare me la godo di più”
I casi internazionali: dai Williams agli Ingebrigtsen passando per Dokic e Capriati
Nel tennis impossibile non citare Richard Williams, padre-pigmalione che ha forgiato Serena e Venus con metodi per alcuni duri, certamente efficaci, trasformandole in leggende. Opposto, ma altrettanto intenso, il caso dei fratelli Ingebrigtsen, i mezzofondisti norvegesi allenati dal padre Gjert. Jakob, campione olimpico e mondiale, ha scelto di allontanarsi: troppo pesante il prezzo emotivo di un rapporto in cui la figura paterna era diventata ingombrante. Altri esempi riportano a Andre Agassi, che nelle sue memorie ha descritto un padre ossessivo, capace di trasformare il tennis in prigione. Oppure a casi più armoniosi, come quello di Stefanos Tsitsipas, cresciuto nel tennis con la madre Julia Apostoli come guida equilibrata. E ancora Jelena Dokic, Jennifer Capriati e i padri padroni. Storie, italiane e internazionali, che mostrano lo stesso bivio: il genitore-allenatore può essere la chiave per il successo o il seme di ferite profonde. Come ricordano gli psicologi dello sport, confondere i ruoli rischia di togliere al figlio la libertà di sbagliare e la possibilità di vivere lo sport come passione.