Diamanti: «Conte disse cose che non mi piacquero e rifiutai la Juve. La notte dormii lo stesso»
Oggi vive in Australia e alla Gazzetta dice: «Rispecchia la mia personalità: libera, passionale e con un’energia particolare. Balotelli? Era tra i più forti al mondo. Aveva un tiro devastante. I portieri, a fine allenamento, non paravano… si riparavano»

Db Roma 14/08/2013 - amichevole / Italia-Argentina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Alessandro Diamanti
Alessandro detto “Alino” Diamanti ha rilasciato una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport. Nel corso della chiacchierata, l’ex calciatore – che oggi vive in Australia e allena le giovanili del Melbourne City – si è soffermato anche su aneddoti del passato, facendo alcune rivelazioni su un suo possibile passaggio al Napoli e su alcune frasi di Conte che fecero saltare il trasferimento alla Juventus.
Le parole di Diamanti
In carriera le è mancata una big. Pensa mai a “come sarebbe andata se…”?
«Mai. Magari è stato a causa del mio carattere: non ho mai abbassato la testa».
E questo le è costato?
«Non me n’è mai importato».
Nel 2009 è stato vicino all’Inter.
«Moratti mi voleva lì. Quando mi chiamò pensai fosse uno scherzo: ‘Sei il nuovo Recoba, devi giocare per noi’. Poi arrivò Mourinho, gli dissero che volevano prendere Diamanti e lui rispose ‘Diamanti chi?’. Voleva un nome diverso».
C’erano anche Juve e Napoli.
«Il Napoli sia nell’estate dell’Inter sia qualche anno dopo. La Juve, invece, più avanti. Avevo il gruppo dei compagni di nazionale che spingeva per il mio trasferimento. Poi, però, Conte disse delle cose che non mi piacquero e rifiutai. E la notte dormii lo stesso, sia chiaro. Ero impulsivo, forse troppo, ma è andata bene così».
Alla fine, andò al West Ham.
«Un cinema. Ero del Livorno, il presidente Spinelli non voleva mandarmi via. Arriviamo all’ultimo giorno di mercato: ci convoca nel suo ufficio a Genova e inizia a contrattare. Ogni mezz’ora cambiava idea. ‘Non posso, mio figlio ci rimane male’. Poi dopo un po’ cedeva. ‘Ok ti vendo, ma di quanti soldi stavamo parlando?’. Penso di aver firmato a mezzanotte. Il presidente era unico».
“Lasciare la Premier fu un errore”, disse.
«Ma anche qui nessun rimpianto: una scelta sbagliata. Stavo bene, ma lo feci per la nazionale. Lippi disse che per avere chance avrei dovuto giocare in Italia, così andai a Brescia».
La Nazionale, poi, se l’è presa col tempo.
«Ci sarei arrivato comunque, senza fretta. Eravamo un gruppo fantastico, arrivato fino alla finale dell’Europeo del 2012. A Prandelli devo molto, ho realizzato il mio sogno».
Anche se poi non l’ha portata al Mondiale?
«In tanti mi dissero che avrei dovuto avercela con lui. Io, invece, gli dico solo grazie. Non ho mai seguito la massa, è da codardi. Ho sempre seguito solo il mio credo».
Sarà così anche da allenatore?
«Assolutamente sì. Mi concentrerò sulla tecnica e sulla gestione della persona. Io da giocatore sono stato un rompiscatole vero. Non ho mai accettato chi si allenava senza passione. Se uno crede in sé stesso può arrivare ovunque. I giocatori devono essere liberi di esprimersi».
Chi l’ha capita di più?
«Bisoli e Pioli. Bisoli mi disse: ‘Se non arrivi in Serie A, vuol dire che ho sbagliato io. Sei troppo forte’. È stato il primo a crederci sul serio. Con lui in C prendevo tante di quelle botte che non ha idea. Non c’erano né telecamere né tutele. Pesavo 60 chili, andavo a contrasto con chi ne aveva 90 senza paura. Un altro con cui mi sono divertito è stato Pioli, a Bologna. Davanti eravamo io e Gila. Il mister mi chiedeva di fare la fase difensiva ma poi mi lasciava libero di giocare come sapevo. Penso di avergli dato tanto».
Capitolo compagni. Il più forte?
«Pirlo, un genio. Gli potevi dare il pallone in qualsiasi modo, lui lo puliva e te lo ridava perfetto. Abbiamo fatto 50 partite insieme, lui in 48 sarà stato il migliore in campo».
Sulle punizioni ve la giocavate?
«Impossibile, era troppo forte. Cambiava modo di calciare a seconda della posizione e segnava comunque. Poi non te ne lasciava una. Una volta, a Londra contro la Nigeria, presi l’incrocio dei pali. ‘Te l’avevo detto che non avresti segnato…’, mi disse. La buttava sempre dentro. Uno che mi metteva in difficoltà era Zola, al West Ham. A quasi 50 anni calciava ancora a foglia morta».
Un flash su Balotelli?
«Nel 2012 era tra i centravanti più forti al mondo. Aveva un tiro devastante. I portieri, a fine allenamento, non paravano… si riparavano».
Lei ha avuto un solo idolo d’infanzia, Roberto Baggio. Ricordi del primo incontro?
«Roby per me è il calcio. Cercavo di imitarlo in tutto e per tutto: lui cambiava scarpe? Lo facevo anche io. Giocavo pure con la fascia colorata al braccio come lui. L’ho incontrato a Bologna, per caso, e l’ho abbracciato per due minuti. Prima di tornare in Australia andrò a salutarlo».
Prima di Melbourne, la Cina: qualche cartolina?
«L’Asia è intensa, particolare. Devi viverla per capirla. Ho giocato a Guangzhou nel 2014. Andammo a visitare lo zoo dei coccodrilli. Una volta usciti da lì, c’erano negozi che vendevano carne di coccodrillo, cappotti di coccodrillo, borse di coccodrillo. Assurdo».
Come mai l’Australia l’ha conquistata?
«Rispecchia la mia personalità».
Ovvero?
«Libera, passionale. E con un’energia particolare. Non ho mai inseguito i soldi. Ho giocato per la gente».