De Zerbi: «Mi credono pazzo, ma se devo salvare un risultato a fine partita metto anche due portieri»

A L'Equipe: "Non essere mai soddisfatti è estenuante. Ma io sono cresciuto con Baresi e Maldini: quelli vincevano lo scudetto e due giorni dopo erano al lavoro come niente fosse"

De Zerbi brighton Nyt

Brighton's Italian head coach Roberto De Zerbi reacts during the English Premier League football match between Brighton and Hove Albion and Crystal Palace at the American Express Community Stadium in Brighton, southern England on February 3, 2024. (Photo by Glyn KIRK / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 120 images. An additional 40 images may be used in extra time. No video emulation. Social media in-match use limited to 120 images. An additional 40 images may be used in extra time. No use in betting publications, games or single club/league/player publications. /

Per L’Equipe il fatto che Roberto De Zerbi sia rimasto al Marsiglia è già una notizia. “Lavoro d’istinto”, risponde lui dopo aver premesso che non gli piace parlare troppo, e prima di dilungarsi poi in un’ora e un quarto d’intervista“Marsiglia è il posto ideale per me, la città, la passione per il calcio, è fatta per me. Ho voluto questo club perché è molto simile a me nella sua concezione del calcio. Vive di calcio, vive di eccessi, di alti e bassi. La partita della domenica premia la città per tutta la settimana, e anche per me, la domenica, il calcio mi ricompensa per tutto il lavoro della settimana, i sacrifici. In quest’ora e mezza, riesco a sentirmi soddisfatto di tutto ciò che faccio”.

“È una questione di carattere. Se dai al calcio un valore superiore a quello di uno sport, allora cercherai qualcosa che riempia la tua vita. Ed è quello che ho sempre fatto con il calcio, non era uno sport, non era un lavoro, era qualcosa che mi realizzava, che mi dava qualcos’altro, orgoglio, dignità, rivincita sociale, l’espressione del mio carattere. È attraverso di esso che riesco a realizzarmi come persona”. 

I risultati non mi condizionano. Sono altre cose che mi condizionano, le bugie, con la stampa, con i giocatori, con gli allenatori, quando ho rapporti conflittuali che non sono sani. Perché un rapporto può essere conflittuale ma diretto. Quando ci sono persone che non sono trasparenti, sì, mi stanca. La pressione, il risultato, lo stress, ci sono abituato e lo cerco persino. È in vacanza che mi stresso, non quando lavoro. Alla fine, diventi una persona un po’ disadattata. Se per trent’anni hai passato le giornate concentrata sul calcio, sulle regole da seguire, sulla dieta da seguire, quando quella routine cambia con le vacanze, senti il bisogno di tornare alla tua vita. E questo è un male, perché la gente pensa che io sia pazzo”.

I giocatori lo amano, dicono. “Credo che la differenza sia che li faccio riflettere, li faccio arrivare alla soluzione da soli. Bisogna trovare la logica in certe cose. A volte mi dicono: non ci avevo mai pensato. Quando giocavo e l’allenatore mi diceva tutto quello che dovevo fare, non mi piaceva per niente. Mi piaceva quando mi dava diverse soluzioni e dovevo sceglierle da solo in campo, capendone il perché. Faccio lo stesso con i miei giocatori. Non dico loro cosa fare. Nel calcio, tutti vogliono giocatori con personalità. Ma se non coltivi quella personalità, allora non ce l’avrai più. Devi delegare, devi fidarti. All’interno di una struttura di gioco, le decisioni vengono dai giocatori. E la cosa migliore è quando parlano tutti la stessa lingua, quando vedono tutti una situazione di gioco allo stesso modo”.

“La comprensione va di pari passo con la passione. Non stiamo parlando di matematica, algebra o materie difficili, ma di calcio: se hai passione, capisci. Se arrivi al centro di allenamento alle 10 del mattino e te ne vai alle 13, se timbri il cartellino come se stessi lavorando in fabbrica, non capirai mai perché facciamo questo o quello. Chi è appassionato, chi è interessato, capisce subito”.

Risultati e/o divertimento… “Crescere in uno stadio, avere mio padre nella tifoseria del Brescia, ha influenzato completamente il mio modo di vedere il calcio. Allora ero un numero 10, mi piaceva avere la palla, mi piaceva il giocatore di talento, ma anche il sacrificio, la tenacia, il carattere. Vincere soffrendo, tutti dietro, lottare, anche quello mi dà grandi soddisfazioni. Ma non lo sceglierei, se fosse sempre così, no… Poi, se devo salvare un risultato a fine partita, metto anche due portieri“.

“Non essere mai completamente soddisfatti è estenuante. Sono stato felice molte volte in questa stagione, ma non vedevo l’ora che arrivasse la partita successiva. Perché dopo una grande vittoria, una sconfitta non è mai lontana. Sono cresciuto nel centro sportivo del Milan, con Baresi, Maldini, Tassotti, una squadra di campioni immensi. Ho vissuto a Milanello per due anni e mezzo. Li vedevo vincere lo scudetto la domenica, e il martedì mattina riprendere ad allenarsi come se nulla fosse successo. E non sono mai stato un campione, ma ho cercato di prendere da loro quella mentalità. Quella di Cristiano Ronaldo. Non nasce campione, lo diventa. Un giocatore che nasce campione lo fa grazie a Dio, ai suoi genitori. Per diventarlo, ci vogliono lavoro, impegno, ambizione, sacrificio”.

Correlate