Tamberi e l’educazione siberiana di suo padre: «Insostenibile, però mi ha insegnato metodo e disciplina»

Intervista a La Stampa. Tamberi sta per diventare papà e parla del tormentato rapporto con suo padre: «Mi vietava di andare a cena a casa di Chiara, orari insindacabili»

Tamberi

Italy's athlete Gianmarco Tamberi celebrates after winning the gold medal in the men's high jump final during the European Athletics Championships at the Olympic stadium in Rome on June 11, 2024. (Photo by Anne-Christine POUJOULAT / AFP)

Gianmarco Tamberi intervistato da La Stampa, a firma Giulia Zonca. Si parla di atletica, delle prossime Olimpiadi, della decisione di continuare a gareggiare e, con lui prossimo padre, del rapporto – tormentato e per ora chiuso – con il suo di papà.

Da futuro papà, riconsidera il rapporto con suo padre? Non vi parlate più dal 2022.
«Non so che cosa significa essere padre. Ho un’enorme felicità nel pensarci, nel vedere il pancione, toccarlo, non ho la dimensione del ruolo. Vedremo, non è che prima avessi smesso di fare considerazioni in merito».

L’anno scorso suo padre ha scritto e poi cancellato un messaggio su Facebook in cui la accusava di essere stato crudele con lui.
«Leggerlo mi ha turbato, mi ha fatto male. Non so che cosa lo abbia portato a scriverlo… Lo ha cancellato subito, significa che si è reso conto. Quando si sbotta si dicono cose senza pensarle veramente, lui in particolare lo fa. Ha tanti pregi, ma una pessima gestione della rabbia».

Immagina di risolvere la faida nel tempo?
«La speranza c’è perché è una situazione che farà sempre tristezza. Rimane un dispiacere immenso. Come si fa a sapere se e come si può sistemare…».

Parole sue: «Mi hanno fatto diventare subito un professionista, di colpo». Il metodo che l’ha portata a essere un campione o c’erano altre vie?
«Avrei preferito evitare quel danno. Avrei accettato le rinunce, non ero pronto a farlo da zero a cento, a quell’età. È stato brutale, un anno in particolare: il 2013. Ho iniziato nel 2009 e fino ai Giochi del 2012 imparavo, miglioravo, mi divertivo. Era semplice. Poi, sono diventato abbastanza bravo per fare di più e per riuscirci mi hanno imposto un’altra esistenza. Senza gradualità. Sono andato via di casa un mese per protesta e non credo di aver mai digerito del tutto le regole che pure ho scelto di seguire».

Tamberi e il rapporto col padre che lo allenava

Che cosa era insostenibile?
«Ho vissuto quell’anno come un tradimento. So che si voleva il mio bene… Mio padre che mi allenava meticolosamente, la federazione, le Fiamme Gialle che allora erano la mia squadra militare. Mi hanno obbligato a un rigore assoluto, destabilizzante per un ventenne. Per esempio: allora andavo tutte le sere a cena a casa di Chiara. Succedeva da quattro anni. All’improvviso vietato, “se ti alleni il giorno dopo, no”. Orario insindacabile per dormire, per svegliarmi. Tutti imperativi serissimi imposti a un ragazzo super socievole: è stato un camion dritto in faccia».

Alessia Trost, ex altista da 2 metri, si è allenata una stagione con voi e l’ha definita «la scuola siberiana del salto in alto». Ha aggiunto, «per me era insostenibile».
«Anche per me. Eppure, mi ha consentito di raggiungere questi risultati. Dopo l’oro ai Mondiali del 2023, il primo senza mio padre, ho ammesso di dovergli la tecnica, la disciplina, il metodo. Ho imparato da lui a studiare ogni dettaglio, a valutare qualsiasi variabile della dieta. Ho ereditato la visione. “Scuola siberiana” è azzeccato… Immagino di averla subita e dopo accettata perché sono suo figlio. Un estraneo poteva solo scappare».

Perché lei ha accettato?
«Per vincere. Giocavo a basket, mi esaltava. Non ero abbastanza bravo per eccellere, nel salto in alto sì».

Molti azzurri di ultima generazione rivendicano l’importanza del viaggio oltre al risultato.
«Li invidio, ammiro chi si gode il viaggio. Devi amarlo però e a me non è capitato. L’unica motivazione erano i grandi obiettivi. Non esiste una scelta giusta, non è obbligatorio ossessionarti, io l’ho imparata così».

 

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