Quando il Mondiale per Club era l’Intercontinentale e a vincere era il Sud America. Poi arrivò la legge Bosman
El Paìs racconta quando le finale erano autentiche battaglie (anche in senso non metaforico), i club europei non spadroneggiavano come oggi

08/12/1985 Tokyo (Giappone) - finale Coppa Intercontinentale / Juventus-Argentino Jrs / foto Imago/Image Sport nella foto: Michel Platini
Quando il Mondiale per Club era l’Intercontinentale e vinceva il Sud America. Poi arrivò la legge Bosman
In un’epoca in cui il calcio europeo domina incontrastato il panorama mondiale, può sembrare incredibile ricordare che una volta non era così. Eppure, le sfide tra club europei e sudamericani erano veri e propri duelli alla pari, a volte persino favorevoli al continente americano. Alcuni estratti e testimonianze, ripresi da un approfondimento pubblicato da El País, aiutano a ricostruire quella stagione ormai lontana, fatta di rivalità continentali e sorprese che oggi sembrano impossibili.
Prima del nuovo Mondiale per Club
Il calcio è lo sport dei pronostici traditi tranne che nel Mondiale per Club, torneo in cui le squadre europee hanno vinto 11 titoli consecutivi tra il 2013 e il 2023. Tuttavia, c’è stato un tempo — prima in bianco e nero e poi all’inizio di questo secolo — in cui l’America batteva l’Europa.
«Ho partecipato a quattro Coppe Intercontinentali. Ne ho vinte due e perse due», ricorda Francisco Pancho Sá, ex difensore argentino oggi 79enne, l’uomo che ha alzato più Coppe Libertadores nella storia: sei in totale, quattro con l’Independiente e due con il Boca Juniors, tutte negli anni ’70. «Con l’Independiente ho giocato tre finali del mondo: abbiamo perso contro l’Ajax nel 1972, battuto la Juventus nel 1973 e perso contro l’Atlético Madrid nel 1974. Poi, con il Boca, abbiamo vinto contro il Borussia Mönchengladbach nel 1978».
Tra il 1960 e il 1979, la Coppa Intercontinentale si disputava con andata e ritorno tra i campioni di Libertadores e Coppa dei Campioni. In quelle 18 edizioni, i sudamericani ottennero 10 vittorie contro le 8 degli europei. «Il formato era completamente diverso. Cruyff venne a Buenos Aires per giocare contro l’Independiente nel 1972. Fu la sua unica volta in Argentina, e credo anche in Sud America», racconta Sá.
«Gli europei non volevano venire in Sudamerica», racconta ancora Sá. «Dicevano che c’era troppa violenza. Iniziammo a negoziare. Nel 1973, la Juventus (subentrata all’Ajax) accettò di giocare solo una gara, in Italia. Non ci restava scelta, ma andammo comunque… e vincemmo».
A scoraggiare i club europei non era solo il clima teso, ma anche episodi tragici: nel 1969, durante Estudiantes–Milan, tre calciatori argentini finirono in carcere per 30 giorni dopo una partita definita ancora oggi come la più violenta della storia del calcio rioplatense.
Non mancarono poi rifiuti clamorosi: il Bayern Monaco, campione d’Europa dal 1974 al 1976, snobbò due edizioni; il Liverpool fece lo stesso nel 1977 e 1978. Alla fine degli anni ’70, la Coppa Intercontinentale perse fascino e venne ripensata: dal 1980 al 2004 si giocò in Giappone, su campo neutro.
Il cambio definitivo arrivò con l’introduzione della Legge Bosman (1995) che permise ai club europei di tesserare liberamente giocatori comunitari. Da allora, la forbice si allargò sempre più. «Il torneo cominciò a diventare, gradualmente ma definitivamente, il trionfo dei club europei con giocatori europei, sudamericani, africani e asiatici, contro club sudamericani con giocatori sudamericani.»
«Si partiva per vincere. Ormai sembra impossibile, ma allora non lo era», dice Sá. Lo stesso spirito animava il Boca Juniors del 2000, che batté il Real Madrid in una notte storica. «Loro avevano le stelle, ma noi il gruppo e la preparazione», racconta Cristian Traverso, centrocampista di quella squadra. «Arrivammo in Giappone una settimana prima, loro solo pochi giorni prima. Li sorprendemmo con due gol di Palermo, poi segnarono ma non bastò».
«Si disse che a loro non importasse del Mondiale per Club, ma non è vero. In campo urlavano, si incitavano, si arrabbiavano. Eccome se gli importava», aggiunge Traverso, oggi opinionista per Tyc Sports.
La situazione oggi
Ma oggi la realtà è diversa. Le squadre sudamericane arrivano al torneo come outsider:
«La distanza tra le squadre europee e sudamericane si è ampliata molto. Il problema è che loro si prendono i nostri giocatori migliori da giovani», dice Traverso.
«Franco Mastantuono ha 17 anni e si è già trasferito dal River al Real Madrid. Una volta i migliori rimanevano tutta la carriera nei loro club. Ora è impossibile competere», riflette Sá.
«Non avrei mai pensato che quella del Corinthians (nel 2012) sarebbe stata l’ultima vittoria di un club sudamericano contro uno europeo. Ma questo dimostra anche quanto sia difficile affrontare squadre con così tanto potere economico. Mi piacerebbe che prima o poi il titolo tornasse in Sud America», conclude Martínez.
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