De Zerbi: «In Italia mi fanno passare per filosofo. A 10 minuti dalla fine se potessi, metterei due portieri»
Al podcast di Cattelan: «MI sono trovato in una diatriba fra Adani, che considero mio fratello, e un gruppo di giornalisti italiani. Io e Adani non la pensiamo allo stesso modo»

Marseille's newly recruited Italian head coach Roberto De Zerbi directs his first training session of the 2024-2025 season at the Commanderie Robert-Louis-Dreyfus training center in Marseille, southern France, on July 8, 2024. (Photo by CLEMENT MAHOUDEAU / AFP)
Roberto De Zerbi ha rilasciato una lunga intervista al podcast ‘Supernova’ condotto da Alessandro Cattelan. L’ex calciatore, oggi tecnico del Marsiglia, ha trattati numerosi temi interessanti. Tra questi abbiamo un aneddoto risalente alla morte di Maradona, il suo rapporto con stampa e tifosi e diversi argomenti riguardanti il calcio italiano. Vi proponiamo di seguito le sue considerazioni.
Le parole di Roberto De Zerbi
Parla anche di cose extracampo con i suoi ragazzi?
«A Sassuolo quando morì Maradona facemmo una riunione su di lui, per raccontare chi era stato e non solo come giocatore. Ma anche e soprattutto come persona. Lo stesso è accaduto quando è morto il Papa: eravamo a Roma e mi piaceva come persona. Così ho cercato di trasmettere quello che io avevo percepito di quell’uomo. Dentro lo spogliatoio cerco sempre di essere senza veli: dico quello che mi passa per la testa. Ai tempi delle superiori avevo un grande professore d’Italiano a Brescia che a volte fermava il programma delle lezioni per parlarci di ciò che accadeva in quel momento nel mondo. Questo modo di fare mi è sempre rimasto impresso. E cerco di parlarne con loro come farei come i miei figli. Mi piace renderli partecipi. In questo modo mi faccio conoscere ancora di più, al di là che tu possa essere apprezzato di più o di meno. Finissi oggi di allenare mi rimarrebbe indelebile nella memoria il rapporto con i miei giocatori».
Che rapporto ha con la stampa?
«La comunicazione è importante per un allenatore e non mi riferisco a quella in campo. Questa è la prima intervista dopo due anni e mezzo in Italia. Questo perché sono caduto all’interno di una diatriba fra Daniele Adani che considero mio fratello e un gruppo di giornalisti italiani. Una volta un giornalista importante, con il quale ci siamo chiariti, mi disse che mi aveva attaccato per colpire Adani. È stata una cosa che mi ha dato molto fastidio: Daniele è mio fratello ma non dice cose che io gli suggerisco. Non la pensiamo sempre allo stesso modo ma mi ha dato molto fastidio l’atteggiamento della stampa. Avrei potuto chiamare per capire le motivazioni di quel comportamento oppure chiudermi. Mi ha fatto male quello che è successo ma cerco di andare avanti per la mia strada. Per parlare voglio avere davanti persone oneste, mentre in passato con me si sono comportati in maniera disonesta, incompetente, faziosa, prevenuta. Quando invece non c’era motivo per subire attacchi. Mi hanno fatto passare per ciò che non sono: mi hanno fatto passare come un filosofo quando invece sono tutt’altro. Nella mia vita ho litigato con chiunque. Quando parlano di me come di un integralista poi invece a 10′ dalla fine potessi metterei due portieri oppure sia a Marsiglia che a Brighton o a Sassuolo ho giocato anche con la linea difensiva a cinque. So di essere divisivo, lo sono sempre stato, ma mi dispiace. Perché se lo sei per quello che dici o che fai va bene, mentre se mi si usa per colpire altri non mi piace».
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Un altro tecnico che ricalca il suo profilo come modo di porsi è Daniele De Rossi.
«Siamo amici e poco tempo fa ha rilasciato una bellissima intervista al Corriere della Sera citando sua mamma. Gli ho mandato un messaggio dicendogli che volevo conoscerla. Le nostre figlie sono molto amiche perché studiano assieme a Londra. Mi piace molto come persona, come allenatore e per come comunica».
Quanto sono un valore aggiunto i tifosi in termini di risultati?
«Possono essere un valore aggiunto o un freno. Ad inizio stagione il ‘Velodrome’ era un freno per tanti giocatori. Vincevamo fuori e in casa zoppicavamo. Poi abbiamo iniziato a parlarci, a parlare della gente di Marsiglia e piano piano si è creata la connessione giusta con il pubblico giochi sempre con un uomo in più. Tanto che nel girone di ritorno in Ligue1 siamo la squadra che ha fatto più punti in casa».
Tornando al calcio, è riuscito a metabolizzare il fatto che l’Italia abbia saltato due Mondiali consecutivi?
«Da italiano che lavora all’estero fa ancora più male. Ti prendono per il culo per una cosa simile. Da quello che si sente, però, la penso diversamente. Questo è un periodo storico dove facciamo fatica a sfornare giocatori di un certo livello. Si starà sbagliando qualcosa o di dire di chi è la colpa. Sicuramente non è colpa degli allenatori che passano da quella panchina, perché di cose diverse può fare poco. Non è più il tempo di Totti, Del Piero, Inzaghi, Miccoli, Vieri, Di Natale. Oggi le ha la Francia e la Spagna: noi abbiamo qualche giocatore forte come Barella, Bastoni, Tonali, Locatelli, ma per il resto facciamo fatica ad avere giocatori di alto livello. Con la Norvegia sembrava che la squadra non avesse neanche amor proprio ma anche quello fa parte del livello di un giocatore. L’Italia è andata in Norvegia trovando un clima diverso e una squadra forte, con elementi come Haaland, Odegaard e Nusa che la nostra Nazionale non ha e con il campionato finito da poco, una finale di Champions League persa, preparare quella partita è difficile da preparare. A parte 4/5 calciatori si fa fatica a trovare talento. Il livello oggi è basso ed è colpa di tutti quelli che fanno parte del sistema».