Dan Peterson: «Mia zia era la centralinista di Oppenheimer, sparì per sei mesi, dopo Hiroshima e Nagasaki capimmo»
Al Corsera: «era un ruolo delicato per la fuga di notizie. Piangeva in silenzio. Berlusconi mi voleva al Milan, è un uomo pratico come Trump»

Db Milano 08/10/2017 - serie A / EA7 Armani Milano-Openjobmetis Varese / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Dan Peterson
Il Corriere della Sera intervista Dan Peterson, lei è stato davvero un agente della Cia? «No. Però…». Però?«Però è vero che andai ad allenare la nazionale cilena nel 1971 con i Corpi di Pace americani e che Nixon volevo sapere per filo e per segno quello che facevo laggiù, nella terra di Allende. In un certo senso, ero “in missione”… Trovai un Paese bellissimo ma diviso, tra la destra e la sinistra, diciamo così. Un giorno arrivò una soffiata: quelli di destra volevano sabotare le condutture dell’acqua. Non accadde nulla, ma capii che era ora di far rimpatriare la mia famiglia».
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Nah a Evaston ha vissuto la grande depressione e le immense difficoltà economiche, prima di fare l’allenatore di basket. Poi nel 1941, l’attacco a Pearl Harbor cambiò tutto.
«Era una domenica fredda di dicembre. Io e mio fratello in salotto, mamma cuciva e papà ascoltava le notizie. Di colpo calò il silenzio. Mio padre disse: “Siamo in guerra”. Io chiesi che cosa fosse la guerra e lui rispose: “Gente che combatte. Roba brutta”».
La sua famiglia ha combattuto? «La sorella di mia madre, un giorno sparì misteriosamente. Sei mesi dopo, riapparve come se niente fosse stato. Soltanto in seguito conoscemmo la verità: era entrata nella squadra di J. Robert Oppenheimer e si era trasferita a Los Alamos».
Dove si stava fabbricando la bomba atomica. «Lei era una delle telefoniste di Oppenheimer, ruolo delicatissimo per il rischio della fuga di notizie». Se lo ricorda l’attacco a Hiroshima e Nagasaki? «Come se stesse avvenendo adesso. Fu allora che capimmo che cosa aveva fatto mia zia. Lei piangeva in silenzio. Sposò un eroe di guerra».
Poi il basket, il successo e tanti tanti personaggi famosi nella sua vita. Che cosa è successo davvero a J.F. Kennedy? «Mio padre era convinto che a ordinare l’assassinio era stato Lyndon Johnson». E a Marilyn Monroe? «Chi lo sa? Io ho tanti dubbi su quella morte. Ma non sono un complottista».
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Dopo il basket la tv come commentatore e il racconto dell’intorno con Silvio Berlusconi che aveva acquistato i diritti dell’Nba: «Silvio mi disse una cosa molto semplice: “Peterson, si ricordi che se viene a lavorare con me non sarà mai un uomo povero”». Le piaceva Berlusconi? «Sì, un uomo pratico, come Trump. Che non mi dispiace, per inciso. Ma io sono americano, tifo per l’America, ho votato anche Kennedy».
Ancora su Berlusconi:«Molti pensano che sia stato solo un uomo ricco e spregiudicato, ma lui sapeva essere anche raffinato. Una sera mi invitò a cena e sa chi c’era a tavola? Walter Cronkite, una leggenda del giornalismo mondiale. Silvio aveva avuto l’accortezza di accostare le nostre due personalità, di americani e di giornalisti». È vero che Berlusconi la voleva per allenare il Milan? «Sì, diceva che io potevo allenare qualunque cosa»