Conte: «parlai con Manna di McTominay ma tante volte i ds ti raccontano storielle per tenerti buono»

Conte a Sky Sport: «Non pensavo che potesse arrivare, Manna è stato molto bravo. Io sono stato bravo a gennaio, ho incassato quello che è successo»

Conte Napoli

Napoli's Italian coach Antonio Conte looks on before the Italian Serie A football match between AS Roma and Napoli at the Olympic Stadium in Rome on February 2, 2025. (Photo by Tiziana FABI / AFP)

Ospite del secondo episodio del Buffa Talks, Conte ha ripercorso la sua carriera da calciatore e da allenatore. L’intervista con Federico Buffa e il direttore Federico Ferri, andrà in onda stasera ed è stata riportata su Sky Sport.

Ferri: In questo libro – ‘Dare tutto. Chiedere tutto’ – c’è un ricordo di Giovanni Trapattoni che peraltro è uno dei personaggi preferiti anche nei racconti che abbiamo spesso ascoltato da parte di Federico Buffa. Ti ha portato alla Juventus con Giampiero Boniperti e ha segnato tanto la tua storia. Ce lo vuoi ricordare?

Conte: «Assolutamente! Prima parlavo di alcune situazioni che poi indirizzano e ti cambiano la vita. Io sono convinto che se non ci fosse stato lui alla Juventus io non sarei rimasto per 13 anni, non sarei diventato capitano, non avrei vinto tutto quello che comunque ho avuto il piacere di vincere. Sono arrivato alla Juventus nel novembre ’91, c’era ancora quella finestra invernale, dal Lecce. Eravamo retrocessi l’anno prima dalla serie A e puntavamo a risalire. L’offerta era importante, perché sono stato venduto per 7 miliardi. Che dire, ero stato comprato per 800mila lire…»

Buffa: E sei palloni…

Conte: «Mio papà non ha fatto un grande affare, nel senso che mi ha venduto per 800mila lire e sei o sette palloni, di cui due-tre bucati. Il grandissimo affare l’ha fatto il Lecce. Però, al di là di questo, papà è sempre stato molto molto orgoglioso del mio percorso. Comunque, nel ‘91 sono arrivato alla Juventus. Immagina un ragazzo di 21 anni che prima stava a Lecce, dove c’erano sole, mare e amici. È vero, ero un calciatore professionista, ma nella mia famiglia significava che alle dieci e mezzo di sera mio papà mi aspettava a casa, eh».

Ferri: Vivevi lì ancora con i tuoi.

Conte: «Sì, vivevo con i miei e mi ricordo ancora papà quando mi diceva: “Non devono dire gli altri che fai la vita da ‘rebbusciato’, o una cosa del genere”. Finché sono rimasto a casa a Lecce, alle 10.30 di sera dovevo rientrare sempre puntuale, perché se no erano comunque botte…»

Ferri: C’erano modi più spicci.

Conte: «Sì, esatto. Io quindi a 21 anni arrivo a Torino: c’è mio cugino che mi aiuta anche a trovare casa. Però alla fine rimango solo e in un ambiente totalmente nuovo, passo da Lecce ad allenarmi con degli idoli, tanto che a loro non do del lei, ma del voi, cosa che al sud conferisce un valore ancora più alto. Vedermi a fianco a Baggio, Schillaci, Tacconi, Julio Cesar mi porta ad avere proprio un timore reverenziale nei confronti di questi campioni: i primi sei mesi sono stati veramente faticosi, perché gioco pochissimo. Mi ricordo che la prima partita è contro il Monaco a Monte-Carlo: immaginatemi carico a duemila. Siamo sullo 0-0, mi capita una palla nella nostra metà campo, un po’ oltre la nostra area. Prendo e tento un passaggio dietro verso Stefano Tacconi, il nostro portiere, solo che non vedo che lui è abbastanza indietro, quindi un calciatore del Monaco intercetta la palla, salta il portiere e fa gol. Perdiamo 1-0. Io esco distrutto proprio moralmente perché per me era la prima partita, volevo spaccare il mondo. E mi ricordo il giorno dopo la prima pagina della ‘Gazzetta dello Sport’: ‘Nel Principato sbaglia il Conte’. Io venivo da una realtà totalmente diversa: trovarmi sbattuto in prima pagina anche in maniera negativa, mi manda praticamente in coma. In quel periodo vivo ancora in albergo, in corso Vittorio Emanuele: sto camminando, praticamente senza meta, per smaltire la rabbia e a un certo punto vedo una macchina che si ferma, scende una persona… Chi è? Il mister! Che mi guarda e mi dice: “Ma non è che stai ancora pensando alla partita di ieri?”. Mi dà uno scappellotto e poi: “Ma sì, ma figurati, tu qua starai tantissimi anni. Pensa alla prossima”. Prende, risale in macchina e se ne va. Torno a camminare e mi dico, ‘Ma era lui o non era lui?’ È stata una cosa di due o tre minuti, lui poi parlava sempre veloce… Comunque, quei sei mesi per me sono stati veramente difficili: gioco poco e molte volte nella mia mente mi è balenata l’idea di dire: ‘Ma chi me l’ha fatto fare?’. Ecco, la difficoltà: quella che arriva nel percorso. Continuo a chiedermi: ‘Che faccio? Stavo bene a Lecce, mi pagavano bene, adesso perché devo stare qui, solo, senza i genitori ad affrontare una sfida che forse è più grande di me?’. Torniamo sempre lì: la difficoltà arriva. Ma poi dipende da come l’affronti: se la vuoi superare, con che ferocia, con che determinazione, con che ambizione. Io ho trovato la mia risposta: ‘Torno, sì, ma da sconfitto. E non voglio farlo’. Mi ha dato grande forza: ‘Adesso continuo, devo dimostrare di meritare questo livello’. Questa è stata la svolta. Infatti inizio il ritiro, mi preparo per tutta l’estate, non smetto di allenarmi e loro trovano un Antonio Conte diverso. Inizio a giocare titolare da lì. Per me sarebbe stato fin troppo semplice tornare indietro».

Ferri: Finora, in questa parte di storia che abbiamo affrontato, il professionista coincide con il tifoso che abbandona la squadra per cui fa il tifo per affrontare una carriera diversa. L’Inter: mi riassumi quell’esperienza (che peraltro è stata la stessa che ha fatto anche Trapattoni) e quel percorso in cui per la prima volta vinci con un’altra società, con un’altra maglia?

Buffa: E poi Quella società.

Ferri: Esatto. E poi anche quell’addio.

Conte:  «Prima di tutto è giusto anche mettere dei puntini sulle i. Da calciatore puoi decidere di rimanere per sempre in una squadra, diventarne un’icona. Io ne ho avute due: dove sono nato, Lecce; e poi 13 anni di Juventus. In quel periodo erano arrivate anche delle offerte, tra cui una del Manchester United di Ferguson. Ma tu da calciatore decidi, puoi decidere. Quando intraprendi la carriera da allenatore cambia tutto. Se scegli di fare questo percorso, devi metterti in discussione, essere pronto ad affrontare nuove sfide, che possono anche andare contro il tuo passato, a livello di tifoseria. A me è capitato: sono andato al Bari dopo l’esperienza ad Arezzo che, nonostante il finale di campionato straordinario, mi aveva lasciato senza squadra. A fine dicembre in Puglia si dimette Materazzi e Perinetti investe su di me. E decido di andare o sarei rimasto a casa. Anche qui c’è un aneddoto. Ero talmente tanto affamato di calcio che poco prima mi era arrivata una telefonata da parte di Rastelli, che era a Sorrento. Mi dice: “Mister, io l’ho seguita: verrebbe a Sorrento ad allenare?”. Io sono stato due giorni a Sorrento per vedere i campi e tutto, ero talmente affamato che sarei andato. Poi non abbiamo trovato la quadra…»

Ferri: L’unico che va a Sorrento per vedere i campi e non altro…

Conte:  «Ero talmente affamato da essere pronto ad andare! Non trovo la quadra con la proprietà dell’epoca, quindi torno senza l’accordo per poi andare a Bari. Si sa benissimo che tipo di rivalità c’è tra Bari e Lecce, no? Io vado lì a lavorare: da terzultimi arriviamo quasi in zona playoff; l’anno dopo vinciamo il campionato e andiamo in Serie A. Più avanti si è presentata la situazione dell’Inter. Anche lì, un po’ strana. Venivo dall’esperienza al Chelsea, in cui avevamo vinto la Premier League e poi l’FA Cup. La Juventus decide di andare su un altro allenatore, Sarri, mi chiama l’Inter e io ci vado. Il primo anno arriviamo a un punto dalla Juventus, che vince lo scudetto; noi facciamo la finale di Europa League che perdiamo per un’autorete assurda di Romelu (Lukaku, ndr). Perdiamo, sì, però mettiamo le basi per prepararci per l’anno dopo: vinciamo il campionato con 4 o 5 giornate d’anticipo e riportiamo lo scudetto a Milano, interrompendo il ciclo della Juventus di nove scudetti. Dobbiamo sempre scindere il discorso: io sono tifoso della Juventus e rimarrò sempre tifoso della Juventus. Non accetterò mai che nessuno cancelli anche solo minimamente la mia storia, perché la rivendico e la rivendicherò sempre. Mi ricordo benissimo anche quest’anno alla presentazione del Napoli: noi siamo lì in piazzetta e a un certo punto i tifosi iniziano a chiedermi di saltare con loro: “Chi non salta juventino è”. Io stoppo tutti e dico: “Fermiamoci un attimo. Non mi potete chiedere ciò che non potrò mai fare”. Io sono sicuro che una volta che andrò via da Napoli, non mi metterò mai a saltare: “Chi non salta napoletano è”. Quindi ci deve essere una forma di rispetto». 

Ferri: È lì che hai detto: “Sarò comunque sempre il primo tifoso di questa squadra?”. Cioè del Napoli.

Conte: «Ma sì, assolutamente. Perché una volta che comunque sposo un progetto, sposo un club e gli altri diventano gli avversari. Non saranno mai dei nemici, perché la Juventus per me non sarà mai un nemico. E le squadre che io ho allenato non saranno mai dei nemici, ma degli avversari di campo. Quando sposo un progetto o un nuovo club, divento il primo ad incarnarne lo spirito. Quest’anno, mi ha fatto ridere un tifoso che mi ha fermato e mi ha detto in napoletano: “Io ti odiavo, perché quando eri alla Juve ti vedevo saltare ai gol in certi modi. Mi dicevo che eri talmente tifoso…”. Nella mia prima esperienza juventina, mi ricordo anche che tanti mi tacciavano come un tifoso in panchina, ma quella è la mia passione. Io non ho una maschera, sono quello, non ho filtri come persona. Anche nelle interviste: non c’è niente di preparato, di concordato. Ecco perché poi capisco di essere divisivo: mi amano per chi prendo le parti e magari mi odiano gli altri. In tutte le situazioni, io sono io e la mia passione la dimostro dappertutto. È un mio modo di essere e non me lo può cambiare niente e nessuno. Io sono un colore solo: ho un unico colore, non tante sfumature».

Buffa: Quello che ho apprezzato tantissimo quest’anno di come hai impostato la tua squadra è che tu negli ultimi anni tendevi a giocare a tre dietro. E poi, secondo me, hai visto come giocava il Napoli di Spalletti – che giocava veramente bene in difesa, perché tanto in Italia è lì che vinci i campionati – e hai cominciato a giocare sia a quattro sia a tre, alternando a situazioni. Io questa duttilità non l’avevo vista prima e, secondo me, quest’anno hai fatto un salto di qualità dal punto di vista della tua capacità di leggere la gara, invece di essere granitico.

Conte: «Noi partiamo in ritiro a Dimaro con il 3-4-2-1. Questa era una squadra che aveva preso più di 50 gol l’anno prima e aveva delle criticità non solo a livello tattico, ma anche proprio a livello psicologico. Cerchiamo di partire in quella maniera, anche perché comunque acquisti non ne avevamo fatti, e quindi vado su terreni che già conoscevo. È stato per me importante, fondamentale, l’anno prima, in cui dopo il Tottenham non ho allenato e sono rimasto a casa a studiare veramente tanto. Torniamo sempre a quel discorso. Arezzo: mi fermo perché quando sei in giostra, sei talmente concentrato sulla tua squadra che non vai a vedere delle eventuali situazioni interessanti che ci possono essere in giro. Mi sono messo a studiare veramente tanto anche col mio Subbuteo. Che a casa mia c’è sempre. Io tante situazioni le rivedo riportandole sul Subbuteo. Sia la fase offensiva, sia quella difensiva. Per me è un grande aiuto. Vedo e registro tantissime partite: in questo modo puoi andare avanti o essere capillare nell’analizzare alcune situazioni. Se tu vedi la partita con l’occhio di chi vuole solo vedere la partita, magari con una pizza e una birra, è diverso. Io l’anno scorso ho studiato in maniera molto minuziosa e capillare».

Ferri: Ma quando sei entrato in quello spogliatoio, avevi l’idea che potesse arrivare un traguardo come quello dello scudetto o pensavi di dover costruire di più? Cioè, alla squadra cosa hai trasmesso? Il primo discorso che le hai fatto.

Conte:  «Il discorso che avevo fatto prima al club. Perché bisogna prima parlare con la società e vedere se c’è la stessa visione: cioè un punto di partenza. Io ho firmato un contratto di tre anni con il Napoli. L’obiettivo qual era? Quello che ho sempre detto: di costruire delle basi solide e non delle basi dove alla fine, alla prima situazione, potessero sgretolarsi. Come primo step ci siamo messi come obiettivo il ritorno in Europa, neanche la Champions League. Anche perché, se parti con 41 punti di distacco dall’Inter, 20 dal Milan, 18 dalla Juve, 15 dall’Atalanta, 15 dal Bologna, dalla Lazio e dalla Roma, devi mettere in preventivo che comunque devi scalzare qualcuna di queste, perché sei arrivato al decimo posto. Il primo obiettivo era cercare di rientrare in Europa, perché il Napoli per 14 anni aveva fatto sempre le coppe europee. Poi fare un altro anno di crescita, quindi prepararci per la terza stagione a provare a competere per vincere. Alla fine, ce l’abbiamo fatta con delle situazioni e delle forze che non erano da vincere lo scudetto. Il fatto che sia arrivata la vittoria del campionato, nella mia testa e nella mia visione nel mio progetto non ha portato a cambiare assolutamente niente».

Ferri: Ecco, ma finisce il campionato, vinci e nella tua testa non sai se rimarrai o se dirai al presidente che il tuo percorso è finito. Ti devi confrontare con lui. Ci dici com’è andata davvero?

Conte:  «Il discorso penso che sia il segreto di Pulcinella. Quello che è successo a gennaio e durante l’anno non è che mi ha reso proprio felice. Solo l’ultima settimana sono arrivati giocatori come McTominay, Gilmour, Neres, Lukaku… Arriviamo a gennaio e tutti quanti sapete benissimo cosa è successo. Io penso di essere stato molto bravo a incassare, a non dare alibi ai miei calciatori, a non dare soprattutto alibi a me stesso. Perché comunque va via il giocatore più forte, dovevamo prendere un difensore e invece rimane Rafa Marin, al quale avevamo promesso di mandarlo a giocare. Diciamo che per noi gennaio è stato disastroso da questo punto di vista, a livello di progettualità. Per di più cosa succede? Quando accadono questo tipo di situazioni, poi sorgono gli imprevisti. Fino ad allora non avevamo avuto neanche un infortunio, poi iniziano ad arrivare. Qualcuno ha detto che ne abbiamo avuto tanti, ma siamo stati la seconda squadra ad averne avuti meno in tutto il campionato. A pari merito con il Lecce e dietro al solo Cagliari. Il problema è che la rosa era proprio tirata, scarna. Quindi siamo stati bravi a compattarci, a utilizzare tanto di quello studio, perché abbiamo cambiato anche diverse situazioni tattiche e siamo arrivati alla fine con la convinzione di potercela fare. Abbiamo costruito un gruppo molto coeso e molto unito, granitico, con cui alla fine abbiamo vinto il campionato. Tutti gli allenatori che sono sotto contratto, alla fine della stagione hanno un resoconto con la società: si parla delle cose che sono andate bene e, anche se si vince, si parla delle cose che sono invece da migliorare. Sicuramente c’era un confronto che io dovevo fare con il club, che a sua volta era forte del fatto che avessi firmato tre anni di contratto. Quando tu firmi ci sono oneri e onori, ok? Il primo anno di matrimonio magari poteva essere un po’ più turbolento e magari poi la stabilità avrebbe portato più conoscenza e fare le cose ancora meglio per migliorarci. Nel momento in cui ho avuto rassicurazioni da questo punto di vista, abbiamo continuato. Anche perché, comunque, c’è uno scudetto da difendere, c’è un lavoro da tutelare. Quello che mi è dispiaciuto è che su una possibilità di un eventuale divorzio tra me e il Napoli, a un mese o un mese e mezzo dalla fine del campionato si sia iniziato a parlare di me alla Juventus». 

Ferri: Ecco, vado dritto diritto proprio alla domanda: ma tu ce l’avevi un accordo con la Juventus?

Conte:  «No, assolutamente io non avevo nessun accordo con la Juventus e ho rifiutato categoricamente a qualsiasi persona, non solo della Juventus ma anche di squadre straniere, di parlare del futuro. A chiunque ha provato ad avvicinarsi ho sempre detto: “Signori, non incontro niente e nessuno, non parlerò con niente e con nessuno fino a quando non avrò parlato con il Presidente. È una questione morale, di serietà”. Perché comunque non mi hanno messo una pistola quando io ho firmato con il Napoli, quindi avevo dei doveri morali nei confronti non solo del club ma anche della città e della tifoseria. Ero stato chiaro: se avessi preso una decisione negativa nei confronti del Napoli, allora avrei aperto ad altre possibilità. Detto questo, anche nel momento in cui non fossi stato convinto di continuare…»

Ferri: Spalletti aveva l’accordo con De Laurentiis che sarebbe stato fermo per un anno, per dire.

Conte: «E Sarri non è andato gratis al Chelsea. Anche chi nell’eventualità avesse voluto parlare con me o iniziare un percorso con me, si sarebbe comunque dovuto poi confrontare con il Presidente. Ma è uno step a cui, comunque, non siamo arrivati. Il fatto che un mese e mezzo prima si sia parlato di questo, non è stato bello, perché ha creato non solo delle aspettative, ma anche delle problematiche che ho dovuto gestire con i calciatori. Noi ci stavamo giocando uno scudetto: non penso sia bello per un calciatore, per una tifoseria, per una città leggere che io l’anno dopo andrò in un’altra squadra. A me non sarebbe piaciuto. Tante volte vengono comunque dette delle cose gratuite, perché fanno comodo ai media..»

Ferri: Questa storia in qualche modo incrinerà il tuo rapporto con la tifoseria della Juventus o con il tuo passato, con la tua storia?

Conte:  «Solo gli stupidi possono andare dietro a queste cose. Per me la Juventus è, era e sarà sempre la Juventus. Quindi nessuno, come ho detto, anche col Lecce, potrà mai inficiare il mio sentimento nei confronti della mia storia, di dove sono cresciuto. Mi dà fastidio perché tante volte dietro il mio personaggio tanti ci marciano. Tanti sono degli avvoltoi, perché comunque mi rendo conto che il mio nome è diverso rispetto a tanti».

Ferri: Capita a tutti i grandi. Federico, tu che hai raccontato Napoli, ad esempio parlando di Maradona, perché Antonio Conte è entrato così tanto nel cuore di Napoli e dei napoletani, al di là della vittoria?

Buffa: Come al solito bisogna andare a prendere le cose che dice, cioè quattro giocatori arrivati nell’ultima mezz’ora di mercato; quindi, non hai fatto il ritiro con loro. Però all’interno di questi quattro, che sono stati tutti impattanti, ce n’è uno secondo me strepitoso, che è McTominay, l’mvm della stagione. Come l’hai preso e da dove veniva l’idea di prenderlo? Se Lukaku fosse seduto qui, cosa direbbe di te? Perché tu lo fai rendere leggermente di più di qualsiasi altro posto? C’è poi una terza cosa che volevo chiederti, che non c’entra con questo, ma che mi ha sempre colpito: io non ho mai sentito delle interviste dei giocatori sconfitti come i tuoi dopo la finale dell’Europeo. Uno dei tre dice: “Abbiamo perso, non si ricorderà più nessuno di noi”. In quel momento io non pensavo fosse più un calciatore, ma semplicemente un uomo che aveva giocato a pallone.

Conte: «Scott è un giocatore che conoscevo benissimo. Quando giocava era sempre impattante, ma al tempo stesso vedevo che non veniva utilizzato in maniera determinante o da uomo cardine della sua squadra. Forse non è mai partito titolare a inizio stagione. Allora ne ho parlato con Manna e lui mi aveva detto che si poteva fare, se si combinavano alcune situazioni. Tante volte i direttori quando ti parlano ti raccontano tante storielle, a volte anche per tenerti buono. Se tu mi chiedessi se ho mai creduto veramente al 100% che potesse arrivare McTominay, risponderei di no: non dimentichiamo che dovevamo fare una stagione senza coppe, quindi lui avrebbe dovuto lasciare un club come lo United per rimettersi in gioco con noi. Alla fine invece è arrivato e sono rimasto molto contento, perché Manna è stato bravo. Non pensavo potesse veramente succedere».

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