Toni Nadal contro la banalizzazione del sacrificio: «L’occidente ormai odia il disagio»

Sul Paìs: "Lo sport d'élite richiede grande dedizione e rinunce, ma non più di molte altre attività quando l'obiettivo è raggiungere l'eccellenza"

Nadal

Parigi (Francia) 11/06/2017 - Roland Garros / foto Panoramic/ Insidefoto/Image Sport nella foto: Rafael Nadal-Toni Nadal

ROMA – Toni Nadal ne sa qualcosa. E’ una specie di professore emerito di sacrificio sportivo. Appena pochi giorni fa Rafa l’ha lungamente ringraziato nel discorso che ha tenuto al Roland Garros per averlo “portato al limite”. E lo “zio” Toni torna sul concetto, nella sua rubrica su El Paìs. Scrive che “il dibattito verte sui presunti “grandi” (grandi lo mette lui tra virgolette, ndr) sacrifici che gli atleti d’élite sono costretti a fare e se ne valga la pena. È chiaro che oggi viviamo in un mondo, quello occidentale, in cui il divertimento e il fatto che tutto debba avvenire immediatamente sono diventati il ​​nostro desiderio primario. Questo a volte implica il disprezzo e quasi l’odio per tutto ciò che ci mette a disagio o che non ci piace. Quevedo diceva: Chiunque in questa vita si aspetti che tutto vada come gli pare, avrà molte delusioni. Questo ci porta troppo spesso a esagerare e ad abituarci a usare il termine “sacrificio” con leggerezza, quasi a banalizzarlo. Spesso perdiamo la necessaria equanimità che ci permette di vedere e analizzare le cose nella loro giusta luce. Soprattutto quando si riferisce a qualcuno che ha una copertura mediatica”.

Il Napolista approfondì questo tema tempo fa, parlandone con Adriano Panatta. Nadal continua: “Indubbiamente, lo sport d’élite richiede grande dedizione e grandi esigenze, ma non più di molte altre attività quando l’obiettivo è raggiungere l’eccellenza. Definire un sacrificio o un grande sacrificio il doversi allenare ogni mattina sull’erba del Bernabéu o del Camp Nou, o sui campi del Real Club de Tenis di Barcellona o del Real Club de Tenis di Murcia, sarebbe un insulto, quasi un’offesa, per la stragrande maggioranza dei lavoratori che arrivano puntuali al lavoro ogni mattina, lavorando molto più a lungo e con orari solitamente molto meno stimolanti. Se classifichiamo come sacrificio il non poter trascorrere del tempo con gli amici perché devono viaggiare per partecipare all’Australian Open, a Wimbledon, al Roland Garros o agli US Open, mancheremmo di obiettività. Innumerevoli studenti sono costretti anno dopo anno a trasferirsi in altre città e, lontani da famiglie e amici, a rimanervi per gran parte dell’anno, certamente in condizioni peggiori”.

“Non c’è dubbio che per raggiungere qualcosa, e a maggior ragione se ciò a cui aspiriamo è elevato, dobbiamo essere disposti a pagare un prezzo. E a rinunciare (piuttosto che sacrificare) a certe cose. Se ne valga la pena o meno è una questione personale di ciascuno. Capisco che disagi e oneri siano più facili da sopportare quando si cerca soddisfazione nel processo, e molto più difficili quando ci si aspetta di ottenerli da soli, attraverso il risultato”.

“Personalmente, per mio nipote e per me, che lo accompagnavo, ne è valsa la pena. È vero che abbiamo dovuto lasciare la famiglia in numerose occasioni e che abbiamo dovuto rinunciare al Natale e ad altre celebrazioni, ma se si considerano gli svantaggi che il nostro lavoro comportava e li si confronta con i vantaggi che ci offriva, la bilancia pende chiaramente verso questi ultimi”.

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