Babacar racconta la sua Fiorentina: «Vargas nascondeva le scarpe, quante volte sono tornato a casa in ciabatte»

Da Extratime: «Astori, Ljajic, Vargas, Gilardino, uno più simpatico dell'altro. In spogliatoio si facevano scherzi su scherzi. Balotelli lo devi conoscere, non lo devi vedere da fuori»

Babacar

Db Reggio Emilia 04/07/2020 - campionato di calcio serie A / Sassuolo-Lecce / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Khouma Babacar

La Gazzetta dello Sport ha riportato oggi una lunga intervista tratta da Extratime, newsletter su stelle e storie di calcio estero a cura di Giulio Di Feo, pubblicata ogni venerdì, a Babacar, ex enfant prodige della Fiorentina gioca in seconda serie turca nel Boluspor

“Babacar è un talento dalle prospettive illimitate”. La frase è di Prandelli, se la ricorda? 

«Certo, me la ricordo benissimo. E oggi posso dire che quella frase è stato un peso enorme per me. Mi ha fatto piacere, erano parole quasi da padre, ma forse ero troppo giovane…».

Perché le pesava? 

«A Firenze vivevo uno stress incredibile. Da fuori magari non si vedeva, ma chi stava in spogliatoio con me se ne accorgeva: ero un giovane venuto dal nulla, ero divorato dall’ansia». 

Chi ha tirato fuori il meglio da lei? 

«Novellino a Modena, mi ha trattato veramente come suo figlio, mai come quell’anno mi sono divertito giocando a calcio. Ma anche con Montella mi sono trovato benissimo, c’era un bel feeling». 

Tra Babacar e la stratosfera c’è sempre stato qualche ostacolo. Gli infortuni, per esempio: 21 in carriera, di vario genere. 

«Sì, sempre, da Firenze a Copenaghen. Quando arrivava il mio momento, quando iniziavo a fare gol e a trovare continuità mi infortunavo. Non so come e perché, capitava sempre così. Almeno tre volte all’anno, e io non lo accettavo perché non lo capivo. Le dicevo che credo al destino, no? Ecco, iniziavo a pensare che il mio destino fosse questo…». 

Non dev’essere semplice conviverci. 

«Io ridevo e scherzavo con tutti, ho sempre sorriso, ma chi mi conosceva davvero come il mio procuratore Patrick Bastianelli capiva che dentro di me c’era qualcosa che si spegneva. Sa cos’è davvero brutto? Quando arrivi a dirti: ‘Ecco, anche questo non sarà il mio anno’. Io non ci dormivo la notte, con tanti pensieri che mi affollavano la testa…» 

Ci ha raccontato il suo lato oscuro, ma in quella Fiorentina si rideva parecchio. 

«Astori, Ljajic, Vargas, Gilardino, uno più simpatico dell’altro. In spogliatoio si facevano scherzi su scherzi. Vargas ti nascondeva le scarpe e non le trovavi più, sai quante volte sono tornato a casa in ciabatte. E se gli dicevi di piantarla e magari non era stato lui peggio, si arrabbiava di brutto. Una volta facemmo la lotta, durante un torneo in Brasile: lui era un picchiatore di forza, io diciamo più… tecnico. Voleva per forza buttarmi al tappeto ma non ci riusciva e intorno gli altri ridevano. Mi sono fermato perché altrimenti sarebbe degenerata. Lui era un ragazzo buonissimo ma aveva una forza incredibile, mi avrebbe spezzato in due…».

Come si sta in Turchia? 

«Benone, dopo due anni passati a non giocare a Copenaghen sono tornato a vedere il campo con continuità. Abbiamo cambiato tre allenatori e non è semplice. Sai, inizi a giocare, poi ne arriva un altro, vuole cose diverse da quelle che fai tu, e ricomincia la storia del ricominciare, degli ostacoli…. Per fortuna l’allenatore attuale, Koşukavak, quando è arrivato mi ha detto: ‘Ma come facevi a stare in panchina prima? Il mio centravanti sei tu’. E difatti con lui ci stiamo giocando i playoff per andare in Super Lig». 

In Italia ci tornerebbe? 

«Certo, è casa mia. Accetterei anche la Serie B, mi frena il fatto di non avere ancora avuto il passaporto italiano dopo 14 anni».

Balotelli lo sente più? 

«No, non lo sento da una vita. Mario lo devi conoscere, non lo devi vedere da fuori: solo se ci hai a che fare capisci che bella persona è. E io e lui ai tempi parlavamo, ci confrontavamo, condividevamo tante cose. Però non mi è mai piaciuto che mi definissero il nuovo Balotelli: non ho mai avuto niente contro di lui, semplicemente lui aveva il suo stile di vita e io il mio». 

 

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