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Ceferin si atteggia a capo di Stato, incarna perfettamente il ridicolo del calcio

Impartisce lezioni di ordine pubblico. La “sua” finale di Champions sfiorò la tragedia. In pandemia disse: “Le persone che conosciamo, prima o poi moriranno, dobbiamo preoccuparcene oggi?”

Ceferin si atteggia a capo di Stato, incarna perfettamente il ridicolo del calcio
UEFA president Aleksander Ceferin speaks during the press conference following the end of the 46th UEFA Congress and Executive Committee meeting at the Messe Wien Exhibition Congress Center in Vienna, Austria on May 11, 2022. (Photo by JOE KLAMAR / AFP)

Ana María Hidalgo, la battagliera sindaca di Parigi, aveva avvertito Ceferin: a Saint-Denis nessuno sarebbe stato in grado di garantire la sicurezza delle decine di migliaia di tifosi stranieri che dovevano arrivare a Parigi per godersi la finale di Champions. Hidalgo era stata molto chiara nel mettere in guardia il presidente della Uefa sui pericoli di quel quartiere, e sullo stato non ottimale dello Stade de France, non adatto ad ospitare un evento di portata globale come la partita tra Real Madrid e Liverpool. Ma Ceferin fece orecchie da mercante. Anzi, come raccontò il quotidiano spagnolo Abc, Ceferin aveva bisogno dell’appoggio politico di Al-Khelaifi nella battaglia contro il presidente del Real Florentino Perez. E questa circostanza, era più forte del “monito di una debole sindaca, con estinta popolarità, considerata probabilmente già verso la fine della sua carriera politica”.

Quel che accadde poi è stato accertato da un’inchiesta ufficiale, indipendente. La strage solo sfiorata “per puro caso”, i possibili morti ancora vivi perché quella sera i tifosi del Liverpool si fecero ingabbiare e maltrattare e picchiare e “gasare” senza reazioni isteriche. Ceferin era dentro quello stadio, e dice che non si accorsero di cosa stesse accadendo lì fuori. Il capo della sicurezza dell’Uefa era il suo amicone Zeljko Pavlica. Ceferin – ancora oggi – aggiunge che… gli dispiace. “Sorry”. Scrollatina di spalle, e amen.

Ceferin è lo stesso che in queste ore s’è inalberato perché le autorità italiane hanno vietato la trasferta a Napoli ai tifosi tedeschi. L’ha definita “inaccettabile”, “intollerabile”. Dal suo pulpito sovranazionale detta le linee della sicurezza nazionale a Stati sovrani, minacciando di “cambiare le regole, perché dobbiamo fare qualcosa subito”. Mentre a Napoli sono in arrivo circa 700 scalmanati, senza biglietto per la partita, col solo scopo di fare casino in città. Hanno già cominciato stanotte.

Il problema, al di là della cronaca spicciola, è Ceferin. La sua iper-dimensione.

Ceferin – occorre rivangare tempi infami – è lo stesso che in piena pandemia, con la gente chiusa in casa a panificare, al Guardian diceva cose così:

«Il calcio non è cambiato dopo la seconda guerra mondiale o la prima guerra mondiale e non cambierà nemmeno a causa di un virus. Non prendo sonno per i milioni che perderemo. Le persone che conosciamo probabilmente moriranno un giorno, ma dobbiamo preoccuparcene oggi? Io non la penso così».

Non la pensava così all’epoca, e non ha cambiato idea oggi. Il calcio, l’Uefa, Ceferin, non sono mutati. Non esistono varianti di questa visione monodirezionale dell’esistenza. Quando Ceferin parlava dell’organizzazione dell’Europeo appena saltato perché la gente non aveva il buon gusto di morire contenta di potersi godere una partita in tv, lo faceva dettando condizioni. Come sempre. Dettava condizioni ai virus… Figurarsi se oggi teme di puntare dita verso un Tar italiano o Manfredi (che non è mica Hidalgo).

Ceferin è presidente di un ‘associazione che si occupa dell’organizzare competizioni di calcio. Ma ha la pretesa di intimare regole a chiunque. Danza al di sopra di concetti persino basici: la mortalità umana, le emergenze sanitarie, il collasso di intere società, l’eventualità concreta di stragi, non ultimo il senso dell’opportunità e del ridicolo. Si muove tra le tragedie umane, come un caterpillar alieno.

Ceferin è aderente al ruolo di capo tribù, perché il calcio questo è. Si autoregola. Non è degradabile. E’ impermeabile alla realtà, alle malattie, alla diplomazia internazionale, alle leggi nazionali. Ha la pretesa di esserlo, e la scostumatezza di ribadirlo ogni volta che può.

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