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“Sconcerti era un fuoriclasse inquieto, politicamente scorretto, schifava la routine”

Su La Stampa il ricordo di Malaguti: “Quando usi tanto le parole qualcuna ti scappa. A lui è successo. È stato oggetto di aggressioni ingiustificate”

“Sconcerti era un fuoriclasse inquieto, politicamente scorretto, schifava la routine”
Gc Milano 28/07/2010 - presentazione calendari serie A stagione 2010-2011 / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: Mario Sconcerti

La morte di Mario Sconcerti. Su La Stampa un ricordo molto bello e sentito di Andrea Malaguti. (Qui quelli di Repubblica e Corriere):

Se n’è andato Mario Sconcerti, l’uomo più libero che ho conosciuto. 

Mi aveva assunto al telefono, quella mattina era la prima volta che lo vedevo di persona. Credevo fosse più alto, nella mia testa era un gigante. Lo è anche adesso. Rapido, geniale, politicamente scorretto, generosissimo, irascibile e soprattutto pazzo, completamente pazzo, strepitosamente pazzo.

Una mattina mi chiama, piena estate. «Domani dovresti partire e stare via un mese». «Mi licenzi, Direttore?». «No, ti mando in Argentina e in Brasile». «A fare che?». «Quello che vuoi: basta che ogni giorno mandi una pagina di storie. Emozioni, racconti, fatti, personaggi. Una volta Romario, una volta Carlos Bianchi e poi fai un po’ come ti sembra più bello». Click. Era un ottovolante sparato in quella terra rara, e di confine, dove si incontrano l’intelligenza e il sentimento. Mariosconcerti ne era il custode. Vigilia di Natale. «Il Milan ha comprato un certo Shevcenko, vai a Kiev a spiegare il suo mondo».

Curioso di tutto. Esplosivo. Partigiano. Sempre schierato. Schifato dalla routine. «Totti parla in conferenza stampa? Dieci righe. Checcifrega della conferenza stampa? Spiegatemi perché Totti vede il calcio prima degli altri, qual è la sua differenza. Noi siamo il Sole 24 ore dello sport. La Cassazione. Il calcio è un’azienda miliardaria. Va trattato con rispetto».

Diventa il direttore generale della Fiorentina più assurda e instabile di ogni tempo, quella di Vittorio Cecchi Gori. Siamo diventati amici, ci mangiamo una pizza con le mogli, tutto bene fino alle 11 quando arriva un collega che pensando di fare lo spiritoso gli dice: «Il tuo Cecchi Gori ha finito di rubare?». Mario esplode. «Se tu dici che Cecchi Gori ruba io dico che tua moglie è una maiala». È fuori di sé. Una tirata di dieci minuti senza tirare il fiato. Il cameriere va dalle nostre vicine di tavolo: «Volete che vi sposti?”. E loro: «Assolutamente no, quando ci ricapita uno spettacolo così». Mario lancia la carta di credito e se ne va indignato. Il proprietario del locale lo insegue per restituirgliela e gli chiede: «Direttore, ma il Bari lo caccia Fascetti?». Risposta indicibile.

Da Repubblica al Secolo XIX ha inventato giornalisti, modi di fare giornalismo, ha guidato e aperto redazioni, e fatto dire a Gianni Brera (scomparso giusto 30 anni fa): «tu sei il mio miglior tramando». Ha sofferto molto, è stato esiliato, ha ricominciato da zero ed è tornato in cima alla montagna. Ha dato spettacolo in tv, alla radio e sul Corriere della Sera. Quando usi tanto le parole qualcuna ti scappa. A lui è successo. È stato oggetto di aggressioni ingiustificate. Succede quando ti esponi molto. E Mario era perennemente petto in fuori. Un fuoriclasse. Inquieto, perennemente alla ricerca del Santo Graal.

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