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Pioli: «I miei giocatori sono come figli. Sono belli, anche nelle stranezze»

A Sette: «Sembra non siano concentrati, forse è serenità, consapevolezza, è la loro forza. Ci carichiamo con la musica di Eminem prima di entrare in campo».

Pioli: «I miei giocatori sono come figli. Sono belli, anche nelle stranezze»
Mg Milano 18/09/2022 - campionato di calcio serie A / Milan-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Stefano Pioli

Luca Mastrantonio intervista l’allenatore del Milan, Stefano Pioli, per Sette, settimanale del Corriere della Sera. Gli chiede in cosa è cambiato di più dalla prima panchina a Salerno, nel 2003.

«Le mie priorità sono sempre le stesse: motivare i giocatori, metterli bene in campo e dargli idee. Prima ero più
schematico, mi affidavo alla tattica, ora so che non vinci per il sistema di gioco, 4-4-3 o 4-2-3-1, ma per l’insieme di talento, passione, sudore, sacrificio, voglia di lottare per obiettivi chiari. Carattere, insomma. E intelligenza. Ora sono più strategico, e con lo staff ampio posso concentrarmi sui singoli giocatori. Con Maldini e Massara non si parla di giocatori bassi o alti, destri o mancini, ma intelligenti. La tecnica è un dato acquisito, la forza ed esplosività di gambe serve, ma il futuro del calcio è dei giocatori che sanno riconoscere in anticipo e velocemente come sviluppare la situazione, leggere gli spazi da occupare».

Pioli racconta che quando giocava era stato adottato dai suoi compagni di squadra.

«Io sono stato adottato dai miei compagni, soprattutto da Gaetano Scirea, andavamo al ristorante assieme, a casa
sua dopo l’allenamento. Ho vissuto con campioni in campo e fuori, intelligenti, seri, rispettosi con tutti. Anche con me che finivo per lo più in panchina».

E’ stato allenato da Trapattoni, Ranieri e Bagnoli. Dice che ha copiato più di tutti Bagnoli, al Verona.

«Parlava poco, ma una volta al mese ci riuniva negli spogliatoi e dava un giudizio a ognuno. “Stefanocontinua così” mi diceva. Ad altri “Tu se continui così stai fuori”, “Te giochi troppo all’ombra”, “Tu potevi fare atletica”… Cose sottili e sferzanti. Il primo giorno di ritiro a Cavalese, eravamo 16 o 17 giocatori, diede la formazione: “Fioi”, disse in milanese riferendosi ai suoi 11 con la mano, “questi qua sono qua, e voi”, quelli che non aveva nominato, più in basso, “siete qua. Se fate così”, alzava la mano, “giocate voi. Ma se gli altri fan così”, e saliva ancora, “giocheranno sempre loro”. Oggi non si può essere così netti: io nella casa al mare mi faccio un’idea dei miei, tra virgolette, 11 titolari, ma non ho mai cominciato o finito il campionato con la formazione d’estate. Insomma: non si può dire sempre tutto, ma da una fessura può nascere una crepa, meglio chiarirsi prima. E conoscersi. Per valutare un giocatore devo sapere che cosa gli sta succedendo. Io tutti i giorni parlo con tutti i giocatori».

Anche durante i Mondiali in Qatar? Pioli risponde:

«Sì. Prima mandavo l’in bocca al lupo, poi li chiamavo dopo la partita. Rafa mi diceva “Mister tutto bene, ho giocato 20 minuti, 30, ho giocato 40, sono contento, sono arrabbiato”».

Pioli racconta la sua prima impressione su Leao:

«Appena arrivato, con i miei collaboratori ci siamo detti: “Oh, ma qui abbiamo un giocatore che gioca ridendo?”. Poi abbiamo capito che è una smorfia naturale, il suo modo di fare».

Una qualità particolare dei suoi giocatori? Pioli:

«Sono belli, anche nelle stranezze. Sembra non siano concentrati, forse è serenità, consapevolezza… è la loro forza: spengono la musica due minuti prima di entrare in campo belli concentrati. Ai miei tempi, quando per telefonare facevi la fila col pacco di gettoni, non era permessa la musica negli spogliatoi. Oggi invece mi preoccupo se c’è silenzio. Ci carichiamo con la musica in pullman e prima di entrare in campo Theo mette Selfish di Eminem… e se vinciamo, al ritorno in pullman, tutti a cantare, canto anche io…».

In cosa sono cresciuti maggiormente i suoi giocatori?

«Per molti, che ho iniziato ad allenare che avevano 19 o 20 anni, crescere è stato naturale. Io ho fatto il mio, ma il merito è diffuso: dirigenza, staff e ambiente. L’ambiente che c’è qui e che abbiamo creato. Io non vedo l’ora di svegliarmi la mattina per venire a Milanello, si sta bene, sono felice. Credo sia così anche per loro. Ad esempio: noi abbiamo la colazione obbligatoria e il pranzo, che però è senza orario. Ognuno ha esigenze diverse: ghiaccio, massaggi o altro, inizia quando può. Ma poi restano tutti fino a tardi, e per non andare lunghi in cucina abbiamo messo un limite orario. Cosa vuol dire? Che stanno bene e sono felici di stare assieme. Io ho vissuto in squadre dove i giocatori non vedevano l’ora di andare via, stavano lì giusto il tempo limitato per fare allenamento».

Pioli conclude:

«Sono come figli».

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