ilNapolista

Parisi: «Ero un bambino solitario. Mi incuriosivano solo un paio di amici di mio padre»

A Repubblica Robinson: «Avrei voluto essere uno scacchista. Poi mi resi conto che sarei potuto diventare un buon giocatore ma non eccellente e lasciai»

Parisi: «Ero un bambino solitario. Mi incuriosivano solo un paio di amici di mio padre»

Come cambia la vita di uno scienziato dopo la vittoria del Nobel? Lo racconta Giorgio Parisi a Robinson, settimanale culturale de La Repubblica. Parisi ha vinto il Nobel per la Fisica nel 2021, per le sue ricerche sui “vetri di spin”.

«Da quando ho vinto il Nobel passo parte del mio tempo a dire di no alle richieste, alcune strampalate. Un’azienda automobilistica avrebbe voluto che incontrassi un gruppo dei suoi dipendenti per allestire un discorso motivazionale. Dei produttori di aceto balsamico desideravano organizzare un incontro dove avrei parlato di qualunque cosa mi fosse venuta in mente. Ovviamente ho detto no. Sono stato invitato da una scuola della provincia del nord per raccontare ciò di cui mi occupo e sono andato volentieri. Poi c’è la parte istituzionale alla quale non puoi facilmente sottrarti. Infine sono stato coinvolto dal comune di Roma per un progetto su un museo della scienza. Mi pare un’ottima iniziativa».

Parisi racconta di aver imparato a leggere i numeri, prima delle lettere.

«A tre anni riconoscevo i numeri dei mezzi pubblici, ma questo non mi ha impedito di essere fin da piccolo un buon lettore».

Leggeva di tutto, del resto era un bambino abbastanza solitario.

«Intanto avevo una vita abbastanza solitaria. Non frequentavo molto i miei coetanei, non praticavo sport e le uniche persone che mi incuriosivano erano un paio di amici di mio padre».

La matematica gli è sempre piaciuta, ma era affascinato dalla storia. Racconta come è arrivato ad occuparsi della fisica.

«Mio padre voleva che diventassi ingegnere. Probabilmente perché lui mancò per un pelo l’ammissione a ingegneria e dovette ripiegare su economia e commercio. Per me fisica era più congeniale. Qualche anno prima di iscrivermi all’università scoprii la passione per gli scacchi. Ho letto parecchi libri di scacchi e partecipato a vari tornei. Credo di essermi reso conto che in prospettiva sarei potuto diventare un buon giocatore ma non assurgere all’eccellenza. Perciò a 17 anni smisi di occuparmene».

Perché? In fondo aveva una testa matematica.

«Un grande scacchista non è necessariamente un grande matematico».

Quali sono le prerogative di un grande matematico?

«La più importante è la capacità di decidere intuitivamente se un teorema sia vero o no anche senza averlo dimostrato. La mente immaginativa di un grande matematico è così potente da permettergli di formulare delle congetture la cui dimostrazione richiede a volte anni e anni di calcolo».

ilnapolista © riproduzione riservata