Al Venerdì: «La palla non superò la linea di porta, ma se uno lo ammette viene bollato come traditore. Gli inglesi hanno bisogno di sentirsi superiori»

Sul Venerdì di Repubblica un’intervista allo scrittore britannico Jonathan Coe. Ha appena pubblicato il suo nuovo romanzo, “Bournville, un viaggio umoristico, nostalgico e commovente attraverso sette momenti topici degli ultimi 75 anni, centrato su una famiglia media almeno in parte autobiografica. Una lunga metafora sulla capacità di poter ricominciare sempre da capo, anche dopo le crisi più terribili, come è stata la Brexit per gli inglesi. A partire da
Bournville, il quartiere di Birmingham del titolo, in cui Coe è cresciuto immerso nell’odore della locale fabbrica di cioccolato Cadbury.
«Anch’essa un simbolo nazionale, un mito dell’eccezionalità anglosassone, permeato dall’idea nefasta che siamo superiori agli altri. Perfino nel confezionare cioccolato, sebbene sia universalmente noto che quello belga o svizzero sono di gran lunga migliori».
Coe continua:
«Il guaio è che gli inglesi hanno smarrito la capacità di osannarsi e prendersi in giro allo stesso tempo: la nostra
dote migliore. Per un insieme di ragioni. Un nazionalismo nostalgico del nostro lontano passato imperiale, la risposta alla globalizzazione, il bisogno di sentirci superiori e diversi, l’insularità. Il paradosso è che il mondo ci ammirava perché abbiamo Oxford, i Beatles, il fair-play, ma non riuscivamo a rendercene conto. E allora abbiamo deciso di buttarci giù da un precipizio convinti di avere il paracadute: ma non si è aperto, o non c’era mai stato. Risultato, siamo fuori dall’Europa e non ci abbiamo guadagnato niente».
Una fotografia che affiora dal romanzo è la vittoria ai Mondiali di calcio del 1966…
«Anch’essa, come la Brexit, ha partorito una montagna di patriottismo: oggi viene ricordato come un momento
mitico. C’è tanta gente che, quando le cose in Inghilterra vanno male, si consola dicendo: sì, okay, d’accordo, ma
abbiamo vinto due guerre mondiali e i Mondiali del ’66. Ora, le guerre mondiali le abbiamo vinte, sebbene non da
soli, perché senza l’America non ce l’avremmo fatta. Ma la vittoria contro la Germania nella finale dei Mondiali di
calcio fu un mezzo imbroglio: la palla non superò la linea di porta, l’arbitro ci diede una enorme mano. Eppure, se
uno lo ammette, viene bollato come antipatriottico o traditore».