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Il Napoli di Spalletti non conosce limiti

Contro l’Ajax l’allenatore ha attuato una storica mutazione tattica. Per la prima volta il Napoli non ha avuto bisogno di controllare il pallone per gestire la partita

Il Napoli di Spalletti non conosce limiti

Un Napoli nuovissimo, un cambiamento culturale

Nell’ambito di questa rubrica, che analizza le partite partendo dai numeri e dalle evidenze tattiche, la seconda vittoria colta dal Napoli contro l’Ajax è decisamente più significativa della prima. Per un motivo semplice: rispetto al match d’andata, la squadra di Spalletti ha giocato in modo completamente diverso. Ha lasciato il pallone all’Ajax pur di tenere alti i ritmi, ha accettato di difendere in modo rischioso, portandosi la squadra olandese nella propria metà campo, ha cercato costantemente la verticalità, senza usare il possesso palla per addormentare, per gestire la partita. Eppure ha vinto. Con pieno merito. Concedendo poco, o quasi niente.

Tra poco snoccioleremo e leggeremo i numeri, ma prima di tutto dobbiamo fissare e ribadire l’importanza di quello che è successo allo stadio Maradona ieri sera. Siamo di fronte a di una mutazione tattica che è anche storica. E che quindi diventa – potrebbe diventare – politica e culturale. Per la prima volta dopo moltissimi anni, infatti, il Napoli non ha avuto bisogno di controllare il pallone per gestire la partita. Anzi, l’ha consegnato – in maniera preparata, premeditata – ai suoi avversari, ma non per contenerli: Spalletti, in questo modo, voleva far emergere le qualità migliori dei suoi giocatori. E ci è riuscito, eccome

Numeri e tattica

Vi avevamo promesso i numeri, ed eccoli qui: a fine primo tempo, la percentuale grezza di possesso palla diceva 55% Ajax e 45% Napoli; nella ripresa, il dato della squadra olandese è salita fino al 57%. Nonostante queste cifre, l’Ajax ha tirato solo 3 volte nello specchio di porta difeso da Meret, compreso il rigore realizzato da Bergwijn; il Napoli non ha fatto molti più tiri nello specchio (5 complessivi), ma le occasioni fallite da Lozano nel primo tempo e poi da Osimhen e di nuovo Lozano nella ripresa non hanno avuto dei corrispettivi dall’altra parte del campo. Insomma, l’Ajax ha tenuto di più il pallone eppure ha creato meno del Napoli.

All’andata, invece, era stata la squadra di Spalletti ad avere maggior possesso (dato grezzo del 57% a fine partita). La portata storica del cambiamento sta tutta qui. Nel fatto che per battere di nuovo l’Ajax, il Napoli abbia attuato un piano-partita diverso. Diverso rispetto a una settimana fa. Diverso rispetto agli ultimi anni.

Ma come e in cosa si è determinato questo cambiamento dal punto di vista tattico, oltre che alla rinuncia scientifica di un possesso intensivo? Per rispondere a questa domanda, bisogna partire dallo studio dello schieramento dell’Ajax. Dallo studio di un avversario deciso a soffocare la fonte di gioco primaria del Napoli. La squadra olandese, infatti, è cambiata ha inventato una nuova posizione per Klaassen. Che, in fase di non possesso, seguiva praticamente a uomo Stanislav Lobotka:

Klaassen segue Lobotka a uomo, e in questi due frame si vede pure il 4-2-3-1 dell’Ajax: ne parleremo tra un attimo.

Per assecondare questa scelta anche in fase attiva, l’Ajax ha assunto una forma leggermente distante dal suo 4-3-3 canonico. Anzi, si può dire che Schreuder abbia ribaltato il triangolo di centrocampo in maniera definitiva, disegnando un vero e proprio 4-2-3-1: un sistema perfetto per muovere costantemente la palla tra le linee. Il Napoli ha risposto con un 4-3-3-/4-5-1 solo apparentemente rigido e scolastico, con Lobotka pivote e Anguissa-Zielinski  mezzali. Questo in teoria: la pratica e la realtà hanno raccontato di una disposizione diversa, con Zielinski schiacciato costantemente sulla sinistra per creare costantemente dei triangoli impazziti con Kvaratskhelia e Mathias Olivera. Basta rivedere questo campetto per capire cosa intendiamo:

Mezzala sinistra, ma anche esterno

Il motivo per cui Spalletti ha deciso di attuare questa strategia si rintraccia tutto, per intero, nel secondo gol del Napoli. In un’azione dalla bellezza accecante che è lenta e orizzontale solo all’inizio, ma poi diventa vertiginosa, verticale, incontrollabile. Grazie tecnica e qualità degli interpreti, ma anche per via della purezza tattica, dell’importanza e della modernità dei meccanismi:

Incantevole

Il Napoli fa partire l’azione con Juan Jesus, ma in realtà il colpo di pistola dello starter lo dà Zielinski: il polacco vede che Lobotka è schermato da Klaassen e allora arretra per dare al compagno una soluzione di passaggio semplice, ma sempre verticale; il suo tocco di prima su Olivera costringe Berghuis a muoversi verso l’uruguagio, la sua finta di corpo sbilancia il suo marcatore diretto, Álvarez, e gli dà la possibilità di controllare il passaggio di ritorno con un tempo di gioco in più; proprio quel tempo di gioco in più è quello che serve a Kvara per offrirsi come ricevitore di un altro passaggio verticale, con un movimento che apre lo spazio sulla sinistra; Zielinski tutte queste cose le sa, e sa anche che Kvara gli restituirà il pallone in maniera rapidissima, forse anche di prima; Kvara fa un tocco di tacco e poi corre per attaccare lo spazio, Zielinski riceve e poi va viaggiare di nuovo la palla in verticale, con i tempi giusti, con un dosaggio perfetto.

Fino a qui c’è la tattica, c’è il lavoro dell’allenatore, che ha messo il talento dei suoi giocatori nelle migliori condizioni possibili. Perché gli avversari aggrediscono sempre e lasciano dello spazio alle loro spalle, e quello spazio bisogna andare a cercarlo. A prenderselo. Ieri sera questa azione si è ripetuta tantissime volte, è impossibile contarle. Il fatto che sia andata sempre così, più o meno, è merito di Spalletti. Il fatto che poi Raspadori segni un gol favoloso è merito essenzialmente suo, di un talento enorme, del fatto che sappia tirare di destro e di sinistro con la stessa forza, con la stessa precisione. L’allenatore, in tutto questo, c’entra poco. Il suo lavoro l’ha fatto prima.

Principi e sviluppi di gioco

Da tempo se non da sempre, questa rubrica insegue l’ambizione di parlare di tattica calcistica in modo accessibile per tutti. In questo senso, una delle chiavi più argomentate riguarda la differenza tra allenatori che allenano prima i principi di gioco e allenatori che allenano prima gli sviluppi di gioco.

Nella prima categoria, sempre più numerosa in questa era calcistica, ci sono quei tecnici che impongono un’identità alle loro squadre e lavorano soprattutto per migliorare i calciatori all’interno di un certo perimetro tattico, per l’appunto determinato dall’identità di squadra; solo dopo, nel momento in cui i giocatori hanno imparato a muoversi, a pensare e ad agire secondo i principi di  squadra, si concentrano su dei meccanismi codificati, quindi tendenzialmente fissi e ciclici, che aumentano la variabilità offensiva. Viceversa, nel secondo gruppo ci sono allenatori che partono da schemi e/o azioni che determinano l’identità della squadra, i movimenti, le connessioni tra i giocatori. E fanno lavorare i giocatori su quelli, per renderli efficaci in campo e per vincere le partite.

Spalletti è sempre stato un allenatore di principi, solo che in questo momento il suo Napoli sembra potersi – e potergli – permettere un grande lusso: la possibilità di lavorare tanto sugli sviluppi di gioco, visto che i principi – ovvero l’identità di squadra – sono stati mandati a memoria. Anzi, sono entrati sotto la pelle dei giocatori. Per capire cosa intendiamo, rivediamo il primo gol, segnato dopo soli tre minuti e rotti di gioco:

Incantevole/2

Scomponiamo questa azione per blocchi. Primo blocco, ovvero principi di gioco: il pressing alto e intenso e la densità in zona palla del Napoli, tutte cose possibili per via delle distanze corte tra i reparti, portano l’Ajax a perdere palla. Secondo blocco, sempre principi di gioco: il Napoli si riordina passando da Lobotka e poi dai centrali difensivi, ma in realtà la costruzione bassa non viene usata come ai tempi di Sarri, per risalire il campo armonicamente e con molti uomini, piuttosto per attirare il pressing degli avversari e creare spazio. Terzo blocco, ancora principi di gioco: Olivera porta palla e non torna indietro, piuttosto aspetta che si apra un corridoio per andare in verticale, per risalire velocemente il campo.

Quarto blocco, sviluppi di gioco: Zielinski, esattamente come avverrà in occasione del secondo gol, va a farsi dare il pallone e riesce a girarsi stoppando la palla. Quinto blocco, ancora sviluppi di gioco: Di Lorenzo e Lozano duettano sulla destra per aprirsi spazi a vicenda, esattamente come faranno Olivera e Kvaratskhelia (con l’aiuto di Zielinski) in occasione del secondo gol. Sesto e ultimo blocco: Lozano converge verso il centro e trova un uno-due che sembra tratto da una partita alla Play Station o da un allenamento con i difensori di plastica, per quanto è pulito, per quanto è effettuato con serenità. Insomma, è evidente che sia una situazione provata in settimana. Solo che stavolta ha funzionato in partita. Contro l’Ajax. In Champions League.

In difesa

Il Napoli ha giocato in questo modo per tutto il primo tempo. Verticalizzando in maniera frenetica, su Zielinski, sui due esterni offensivi. Su Raspadori, che però ha toccato solamente 9 palloni. Anche questo è un dato significativo: l’ex attaccante del Sassuolo è stato sempre un riferimento per le azioni della sua squadra, ma è stato servito pochissimo. O meglio: solo nei momenti giusti. Perché, come detto in apertura, il pallone l’ha tenuto soprattutto l’Ajax. E il Napoli ha accettato questa condizione, questa situazione, scrostandosi via di dosso anni di convinzioni sul fatto che le partite si potessero controllare e dominare solo con alte percentuali di possesso palla.

La fase passiva è un’estensione di questi stessi concetti. In pratica, la squadra di Spalletti ha mostrato come ci si può difendere in maniera corale e accorta ma sempre ambiziosa, senza cancellare mai l’idea di ripartire. Ecco un video che serve a spiegare/capire cosa vogliamo dire:

Pressing selettivo, linea difensiva sempre alta, capacità di rinculare al momento giusto

Lasciare il pallone all’Ajax vuol dire anche lasciargli la possibilità di fare ciò che sanno fare meglio: imbucarlo tra le linee, dietro il centrocampo, negli spazi di mezzo. In questa azione avviene due volte, ma il Napoli riesce sempre a contenere gli avversari. A ribatterlo. Infine riesce a ripartire, perché Kvaratskhelia non si risparmia mai in fase passiva ma poi ha la gamba per andare lui, in verticale. Non fa andare il pallone per quella traccia, ma lo conduce in prima persona. Avere un calciatore come il georgiano – autore di un’altra prova scintillante: un assist, il rigore segnato, 4 dribbling riusciti, 4 cross tentati – ovviamente aiuta, se tieni un atteggiamento del genere. E la stessa cosa vale anche per Lozano dall’altra parte.

Sembra un’ovvietà, ma è bene chiarire: il merito di questa fase difensiva va ascritto a coloro che sanno ripartire, ma prima di tutto a chi compone il reparto arretrato. A Meret, Di Lorenzo, Kim Min-jae, Juan Jesus, Olivera. Non è un caso che il Napoli abbia difeso in un certo modo, ieri sera: parliamo di un portiere in fiducia e di quattro calciatori dal grande impatto fisico ma anche dinamici, che potevano reggere i contrasti con i loro avversari ma anche difendere di concetto.

Anche grazie al supporto continuo di Lobotka e Anguissa, sempre pronti alle coperture preventive, a leggere e sporcare le linee di passaggio avversarie. Non a caso, viene da dire, i due gol dell’Ajax sono arrivati con il camerunese in difficoltà e in procinto di uscire – per via di un problema muscolare – e a causa di un rigore piuttosto generoso fischiato dall’arbitro. Per il resto, la squadra di Schreuder è stata contenuta in maniera anche comoda.

Osimhen

Il capolavoro di ambizione di Spalletti è stato completato nel secondo tempo, dopo il gol dell’Ajax, con l’ingresso di Osimhen. Piuttosto che congelare la partita attraverso il possesso palla, il tecnico del Napoli ha deciso di alzare ancora di più i ritmi del gioco offensivo, di aumentare il peso e la profondità del suo attacco. Come per magia, la squadra in maglia azzurra ha cambiato il modo di costruire e rifinire la manovra: dai 5 cross del primo tempo è passata a quota 10 nella ripresa, e lo stesso discorso vale anche per i palloni lanciati verso l’ultimo terzo di campo – da 51 a 63.

4-3-3 con Osimhen in campo

Come si vede chiaramente in questi due screen, con Osimhen in campo il Napoli ha svuotato il centro della trequarti offensiva in fase di costruzione. L’ha fatto per tenere sotto pressione la difesa dell’Ajax, sia quando la palla era in possesso degli azzurri, ma anche quando erano gli olandesi a gestirla. Non c’è bisogno di arrivare fino all’errore di Blind che ha portato al gol del 4-2, perché l’aspetto/concetto più importante è quello relativo alla ripartenza: con Osimhen e non Raspadori in avanti, il Napoli aveva – e ha avuto – la possibilità di risalire il campo con un lancio, una sponda, una corsa in avanti. Una situazione molto scomoda da difendere e contenere per una squadra come l’Ajax. Che, per genetica, lascia ampi spazi tra il portiere e la linea difensiva. Il territorio di caccia dell’attaccante nigeriano.

Conclusioni

Ci sarebbe molto altro da dire sulle dinamiche tattiche della ripresa. Sulle interazioni – quelle che si sono viste e quelle che si potrebbero vedere – tra Osimhen e Kvaratskhelia, sul buonissimo impatto di Ndombélé. La buona notizia, in fondo, è proprio questa: come detto anche in precedenza, il Napoli dà la sensazione di essere una squadra tatticamente evoluta e compiuta, al punto che Spalletti può – anzi: deve – lavorare sui dettagli. Su meccanismi che possono renderla letale per qualunque avversario. Allo stesso tempo, però, ci sono ancora dei margini di manovra. Di crescita, di sviluppo, di miglioramento.

Contro l’Ajax, ieri sera, si è vista una parte di questi margini, delle possibilità tattiche inedite e che finora erano rimaste inesplorate. Spalletti sta lavorando in ampiezza, nel senso che sta sperimentando – con gli uomini, con le formazioni, con i concetti – per capire fin dove può spingersi. Può farlo perché sa farlo, innanzitutto. E perché – come detto – ha forgiato un’identità chiara, percettibile, e soprattutto giusta per i calciatori che ha a disposizione. Lo dicono i risultati, lo dicono la qualità e la continuità delle prestazioni, e nel frattempo la squadra cambia faccia continuamente, quando invece sembrava destinata a rimanere eternamente uguale a se stessa. Non era proprio così, per fortuna.

 

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