Dal Gran Galà del Calcio alla graticola, più fuori che dentro l’Inter, in pochissimi mesi. È il curioso caso di Simone Inzaghi. Il tecnico nerazzurro è stato inserito – con Mourinho e Pioli – tra i tre migliori allenatori della passata stagione. E verrebbe da dire che non è una casualità visto che l’Inter, lo scorso anno, è stata squadra vera. Ad un certo punto della stagione sembrava non avere rivali per lo scudetto. I nerazzurri, nonostante le partenze di Hakimi, Eriksen e Lukaku, giocavano addirittura meglio dell’anno prima. Non c’era opinionista che non lo riconoscesse.

La dirigenza ebbe il merito di scegliere un allenatore con principi non troppo diversi da quelli di Conte, ma soprattutto un allenatore abituato ad adattarsi a quello che ha a disposizione, rifuggendo quella furia ideologica che invade parte degli allenatori cosiddetti “moderni”, che a volte – come abbiamo fatto notare proprio ieri sul Napolista partendo dalle differenze tra Juric e Gasperini – sembrano essere più concentrati sull’estetica del pelo del loro gatto che sul fatto che poi questo gatto effettivamente acchiappi il topo, per usare una metafora del fu leader comunista cinese Deng Xiao Ping. Inzaghi no, Inzaghi sotto questo punto di vista è démodé. È démodé perché se è vero che chi non perde occasione per decantare le sue gesta probabilmente vive sulla sua pelle una serie di insicurezze, è pur vero che per una parte consistente della carriera Inzaghi ha fritto il pesce con l’acqua. È successo alla Lazio, soprattutto. In un articolo, oramai dieci mesi fa, scrivemmo che «è un allenatore abituato a fare la spesa al discount». E che con la spesa ha preparato quasi sempre piatti impensabili con quegli ingredienti. Che la panchina lunga non ha mai saputo che cosa fosse. Che ha portato Luis Alberto a valere quasi cinquanta milioni di euro. E parliamo di un giocatore che Sarri non schierava e non schiera neanche titolare. Ma in parte è successo anche all’Inter, perché la squadra messa a disposizione di Inzaghi – non scherziamo – non era e non è quella che aveva a disposizione Conte.

Insomma, Inzaghi non è uno sprovveduto. Ed anzi, a sorprendere è proprio il fatto che una delle sue migliori abilità (preparare la partita secca, la sua Lazio poteva vincere contro chiunque) stia diventando il suo più grande fardello, visto che l’Inter quest’anno ha perso tutti gli scontri diretti: col Milan, con la Lazio stessa, con la Roma e con la sorprendente Udinese di Sottil, che continua a mantenere il ritmo delle più forti.

Ma come si finisce dal Gran Galà del Calcio (al di là del fatto che il premio ovviamente lo vincerà Pioli) alla graticola in pochi mesi? Oggi Inzaghi è più fuori che dentro l’Inter. Innanzitutto perché la maggior parte dei tifosi lo individuava già l’anno scorso come il principale responsabile di uno scudetto perso contro una squadra considerata meno forte, il Milan. Ma non sempre i tifosi hanno ragione. Anzi, diciamo pure quasi mai. Fa riflettere di più che una serie di calciatori – Calhanoglu su tutti, proprio quel Calhanoglu che l’anno scorso era stato un suo capolavoro – lo abbiano accusato addirittura pubblicamente di una serie di scelte discutibili. Se perdi lo spogliatoio, se non sei credibile agli occhi dei giocatori che alleni (anche i cambi al 30′ contro l’Udinese hanno giocato un ruolo, a quanto pare) poi diventa assai complicato risalire la china.

Certo è, però, che l’Inter di quest’anno è una squadra piena di problemi. C’è una proprietà che de facto non vede l’ora di liberarsene e c’è una squadra “a termine”: Skriniar e De Vrij sono in scadenza, Handanovic gioca ancora perché se non lo cedi deve giocare per forza (altri motivi non se ne trovano) e il calciatore su cui la proprietà ha puntato praticamente tutto – Lukaku, ovviamente – viene da un anno di inattività, è apparso evidentemente fuori condizione quelle poche volte che ha giocato e – considerata la formula del suo trasferimento, visto che è all’Inter in prestito secco – ha pure un futuro incerto, soprattutto dopo l’avvicendamento tra Potter e Tuchel sulla panchina della squadra che ne detiene il cartellino, il Chelsea.

Ovviamente, tutto questo non solleva Inzaghi dalle sue responsabilità. Di sicuro non è umile, e visto che non ha vinto chissà che “trofei”, come invece decanta, potrebbe evitare certe uscite. E di sicuro non si sta rivelando così capace a gestire la pressione. Questa è una sua colpa, forse è un suo limite, ed all’Inter è certamente più difficile che alla Lazio, checché se ne dica. Su questo, tra lui e Antonio Conte ci sono dieci o quindici categorie a favore del salentino. Quello che però si fa notare è che non si può passare dall’essere considerati tra i più forti all’essere dei brocchi belli e buoni (come Inzaghi, così come Allegri, viene descritto) in pochi mesi. Il calcio è una cosa più complicata di così, a volte i primi a far finta di non saperlo sono proprio i club.