A Il Fatto: «Quest’estate sono andato spesso a casa della Carrà, mi ha fatto bene. Dopo la sua morte è stato durissimo non sentire più la sua risata».

Su Il Fatto Quotidiano una lunga intervista a Renato Zero, pronto per le sei date romane (dal 23 settembre al 1° ottobre) al Circo Massimo, già tutte sold out
«In questi ultimi anni non ho mai rinunciato al supermercato, all’edicolante e ad altre consuetudini rassicuranti; il contatto con le persone mi permette di sentirmi ancora bello, desiderabile, ascoltato» .
Negli ultimi tre anni ha sognato il palco?
«Ho sognato che non ci arrivavo».
Era in ansia.
«Non potevo perdere l’abitudine di termometrare la mia gente: a me basta uno sguardo per comprendere come sono quotate le mie azioni».
Da poco è tornato sul palco con Jovanotti e anni fa, al Fatto, ha dichiarato: “Non mi fido di chi non trema prima del sipario”.
«Perché chi non trema non è uno sincero; la troppa determinazione, il calcolo, non rientrano nelle doti migliori di un artista. Un artista deve possedere i requisiti di sincerità, debolezza e timore: l’artista è fragile, non va in palestra, perché non è quella muscolatura a dover sviluppare».
Quindi ha tremato prima di cantare con Jovanotti…
«Sì ed è stato Lorenzo a non farmi desistere, a non farmi sentire inadeguato; Lorenzo, in qualche cifra, è simile a me: potrebbe essere mio figlio. Ha una follia terapeutica che diventa contagiosa e con alla base il desiderio di giocare con certi simboli, con l’abbigliamento; quella di cantare sulle spiagge è una follia totale, persino a me non sarebbe venuto in mente».
Chi l’ha più fatta ridere?
«Da chi mi interessa e affascina non mi aspetto mai troppa ilarità; se rido in maniera eccessiva mi interrogo sulla qualità del rapporto. Ridere non deve essere la ragione primaria».
Allora chi l’ha fatta stare bene?
«Sempre Lucio (Dalla): mi ha rasserenato con la sua esistenza, grazie a lui non mi sono sentito solo; almeno fino a quando è stato in vita».
Si spaventa mai quando i fan investono così tanto su di lei?
«Per forza, perché uno è solo davanti a una moltitudine di persone che ha bisogno di te».
Dal palco guarda la platea?
«Non me perdo nessuno».
Questa estate, da casa sua all’Argentario, quante volte ha guardato le finestre della villa della Carrà?
«Lì dentro ci sono stato cinque o sei volte; con Sergio Japino e Gianluca Bulzoni, suo storico segretario, avevano deciso che quella casa andava vissuta dagli amici di Raffaella, e allora abbiamo organizzato delle serate. E mi ha fatto bene, avevo la sensazione che lei fosse insieme a noi; dopo la sua morte mi affacciavo dalla mia finestra, guardavo verso di lei, e non sentire la sua risata è stata durissima».