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Silvio Orlando: «Mentre recito non sono felice. Si alternano noia infernale e stress insostenibile»

A La Repubblica: «Sono un buon attore perché non so recitare. Moretti? Ho sempre pensato: se mi chiama sono contento, se non mi chiama sono più sereno».

Silvio Orlando: «Mentre recito non sono felice. Si alternano noia infernale e stress insostenibile»

La Repubblica intervista Silvio Orlando. Parla del rapporto con la moglie.

«Mia moglie è una presenza fondamentale. Ho passato la prima fase della vita in apnea, volevo fare tante cose e non riuscivo. Lei mi ha insegnato a respirare».

Ne “Il sol dell’avvenire” è tornato a lavorare con Nanni Moretti.

«Dal Caimano non lavoravo più con Nanni. Sentivo che per tutti e due era importante mettere un altro piccolo pezzo di vita insieme. Ho trovato un Nanni per me inedito: pieno di voglia, felice e tranquillo. Poi ha quei momenti suoi che conosciamo e ne hanno creato la leggenda… ma prevale il buonumore».

Il set di “Il caimano” com’era?

«C’era un’angoscia che accompagnava le riprese, lui sentiva di essere solo con cinquanta persone che cercavano di distruggere il suo film, e tu facevi parte delle cinquanta. Negli anni ho sempre pensato: se mi chiama sono contento, se non mi chiama sono più sereno. Ma questo film è un giocattolone magnifico, che ci ha regalato. Io faccio parte della sezione ambientata negli anni 50».

Per lavorare con Moretti ha sempre dovuto superare dei provini.

«Sempre. Anche per il nuovo film, Nanni pensava a un personaggio più giovane di me. Per Il Caimano mi chiuse in una stanza con il soggetto e una telecamera a cui dare le prime impressioni. Per Palombella rossa mi fece un interrogatorio, sulla vita privata, mio fratello bancario… Faceva caldo e ridevo senza un perché. In quel film non c’è mai stato un copione vero, ma un soggetto con le scene e senza battute, che mi venivano consegnate ogni giorno su pezzettini di carta».

Moretti gli mette soggezione, come Paolo Sorrentino:

«Anche più di Nanni, che è un mio coetaneo, so da dove viene. Paolo è un essere umano misterioso».

Il suo rapporto con il mestiere?

«Un mese che non recito e mi pare di aver scordato come si fa. Non ho mai imparato a fare questo lavoro. Forse sono un buon attore perché non so recitare. Per me è un cancellare sempre tutto e ripartire».

La rende felice, recitare?

«No. Sento di dare qualcosa agli altri, un dono che cerco di utilizzare nel miglior modo. Ma mentre recito non sono felice. Nel cinema si alternano momenti di noia infernale e di stress insostenibile. In questo momento sono a Tavolara e non invidio nessun collega sul set a far cose fantastiche».

 

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