Gnonto: «La sera della mancata espulsione di Pjanic su Rafinha scoppiai in lacrime»
A Sportweek. «Diventai davvero interista. Si pensa al calciatore come a uno sbruffone che sbaglia i congiuntivi; io mi impegno a comunicare in maniera corretta»

Db Bologna 04/06/2022 - Uefa Nations League / Italia-Germania / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Wilfried Gnonto
Sportweek fa una lunga intervista a Willy Gnonto. Ne riportiamo un estratto. Nel suo paesino di circa cinquemila abitanti che affaccia sul Lago Maggiore, Baveno, lo conoscono tutti. Lo guardano, lo salutano, lo fermano. È figlio di immigrati ivoriani, l’ha adottato una intera comunità. Dalle professoresse, che per lui sognavano a una laurea in Medicina, a chi ricorda dei suoi bagnetti nel lago. La scuola, appunto. Gnonto ci ha sempre tenuto, così come tiene a parlare bene.
«Perché il calcio è seguito da tutti, dai bambini agli anziani. E non finisce in campo, c’è tutto il contorno fuori. Perciò, spiegare bene quel che succede intorno al nostro mondo e riguarda te, che di calcio vivi, è il punto di partenza. Si pensa al calciatore come a uno sbruffone che sbaglia i congiuntivi; io mi impegno a comunicare in maniera corretta nella forma e nella sostanza»
Le interviste del pre e del post partita in cui si fanno sempre le stesse domande e si danno sempre le stesse risposte disturbano oppure sono una tassa da pagare?
«È una tassa che bisogna pagare, ma noi calciatori dovremmo fare uno sforzo di onestà ed evitare le risposte, come si dice… preconfezionate. In quest’intervista, darei la risposta tipica di un calciatore se per esempio mi chiedessi dove mi piacerebbe giocare. Devo rispondere sinceramente? Il mio sogno è giocare nel Barcellona. Messi è il mio idolo, anche adesso che è al Psg. Ha fatto tantissimi sacrifici fin da quando ha iniziato, la sua famiglia lo ha sempre sostenuto anche se non era nelle migliori condizioni economiche. Non dimentica le sue origini, è uno tranquillo, la prima ragazza è diventata sua moglie, non è cambiato nel tempo: nella sua storia rivedo me stesso. E poi, in campo fa cose come nessun altro. Cosa farei se giocassi con lui? Uno, me la farei addosso. Due, gli chiederei tutto sulla sua vita e su come ha fatto ad arrivare a un livello tanto alto. In campo gli passerei la palla ogni volta che posso»
…se ha mai provato a imitare Messi.
(ride) «Una volta segnò al Bayern con uno scavetto dopo aver fintato il tiro. Qui all’oratorio, da solo sul campo, penso di averlo rifatto non so quante volte. E ogni volta che la palla entrava urlavo “Messiiii… Messiiiii…»
Del liceo, della maturità, si è parlato molto. Forse troppo. Racconta del suo passato, della sua famiglia. Cose che non sono invece così note.
«Papà arrivò a Baveno, dalla Costa d’Avorio, perché aveva dei fratelli che stavano già qua. Uno lavorava in una rubinetteria a San Marino, qui vicino, un altro studiava a Verbania. Come è arrivato in Italia? Hanno scritto col classico barcone: macché. In aereo, tranquillamente. Aveva 23 anni. All’inizio non aveva i documenti e quindi dormiva dai fratelli. Ha iniziato subito a lavorare. Si ha l’idea del ragazzo di colore che arriva e spaccia, ma è sbagliata. Mio padre è sempre stata una brava persona. Cominciò nella rubinetteria di San Marino, poi passò in un’azienda tessile a Piè di Mulera. Appena prese a guadagnare abbastanza tornò in Costa d’Avorio, sposò mamma e la portò qui, dove si sono sposati un’altra volta. In chiesa, perché siamo cattolici. Mamma lavorava all’hotel Dino, qui a Baveno. Cameriera ai piani. Don Alfredo, l’ex parroco del paese, diede ai miei la casa sopra all’oratorio dove sono cresciuto»
Quando è diventato davvero interista.
«Inter-Juve, aprile 2018, la partita della mancata espulsione di Pjanic per fallo su Rafinha. Per loro segnò Higuain quasi all’ultimo minuto e con quella vittoria misero le mani sullo scudetto. Io ero a San Siro col mio amico Elio, e scoppiammo in lacrime. Quella sera diventai veramente interista»
Se fosse rimasto all’Inter però non avrebbe raggiunto la Nazionale.
«Non così presto. In Italia per un giovane è più difficile. Con la Nazionale ho giocato contro l’Inghilterra: c’erano ragazzi poco più grandi di me che vanno in campo con Arsenal, Tottenham, Chelsea. Non ho visto questa grande differenza tra noi e loro, ma loro hanno più possibilità. In Inghilterra o Germania, se uno è bravo lo fanno giocare, non guardano la carta d’identità. È mentalità, coraggio»