Di Centa: «Doping? Da ragazza mi allenavo tirando fuori patate dalla terra: non avrei mai accettato certe cose»

Al CorSera: «Quando il Cio discuteva di rendere olimpico il salto femminile dal trampolino obiettava: “Se cadono, picchiano il seno, siamo preoccupati”».

manuela di centa

Il Corriere della Sera intervista Manuela Di Centa, ex campionessa olimpica di sci di fondo. Dopo il ritiro ha iniziato una carriera dirigenziale nel Cio. È stata deputato della Camera dal 2006 al 2013.

«Nel 1982, quando vinsi l’argento ai Mondiali, era presto: la Fisi nemmeno si accorse di me. La federazione non era pronta all’equilibrio tra maschi e femmine. La svolta nel 1991: il Mondiale in Val di Fiemme segnò un salto culturale. Abbiamo cominciato a far paura alle potenze del fondo».

Ha dato fastidio chi mormorava che lei si dopava?

«Sì, certo. Ma ho alzato un argine. Mi immedesimo in Marcel Jacobs dopo quello che hanno detto su di lui a Tokyo: come rispondi a un attacco del genere? Andando avanti per la tua strada».

Nel Cio si è battuta per il passaporto biologico.

«Siamo stati io e il pattinatore norvegese Olav Koss a promuoverlo. Non avevamo afferrato che cosa dovesse essere, ma avevamo capito che avrebbe aiutato chi era malato e non lo sapeva. Pure io mi sono ritrovata inguaiata, quasi non lo si sa. Ho trascorso due mesi in ospedale a Pisa: avevo la tiroidite di Hashimoto, diagnosticata in Finlandia. Dissi al professor Pinchera: “Dopo aver conquistato un bronzo iridato in queste condizioni, se lei mi rimette a posto io vinco tutto”. Lo ringrazio ancora oggi».

Il professor Conconi era un mago o un apprendista stregone?

«Francesco mi ha aiutato ed è lui ad avermi mandato da Pinchera. Era discusso per l’emo-autotrasfusione? Anche quando era lecita, mi sono schierata contro. Da ragazza mi allenavo tirando fuori patate dalla terra: non avrei mai accettato certe cose».

Parla della sua esperienza al Cio.

«Sono stata la prima donna eletta come atleta. Un’esperienza privilegiata, dall’altra parte della barricata: nello sport ci sono problemi che quando sei atleta ignori».

Racconta un aneddoto:

«Quando si cercava di rendere olimpico il salto femminile dal trampolino, l’obiezione era: “Se cadono, picchiano il seno, zona sensibile: siamo preoccupati”. Io dissi: “Avete ragione: è la stessa cosa che penso quando immagino un maschio che cade e batte i testicoli”. Silenzio di tomba. Tempo dopo quella battaglia è stata vinta».

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