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Goikoetxea: «Sono grato a Maradona, anni dopo mi diede la possibilità di parlargli. Non serbava rancore»

Il “macellaio di Bilbao” a El Mundo: «Quell’episodio ha segnato la mia vita. Ricevetti minacce di morte, e la fama di violento mi accompagnerà per sempre»

Goikoetxea: «Sono grato a Maradona, anni dopo mi diede la possibilità di parlargli. Non serbava rancore»

Andoni Goikoetxea, passato alla storia come «il macellaio di Bilbao», il calciatore che il 24 settembre del 1983 ruppe la caviglia a Diego Armando Maradona. A cercare su Google si scopre che è considerato uno dei giocatori più violenti di sempre. Il suo fallo è tra i più famosi della storia del calcio.

«Goiko» viene intervistato da El Mundo. Ampia intervista in cui ovviamente si parla di quell’episodio che gli costò diciotto giornate di squalifica.

«Ho una certa età, sono passati tanti anni, so che questa fama di “violento” non m’abbandonerà mai. Io però non mi sono mai considerato un duro. Tutto quello che ti ho detto (si rivolge al giornalista, ndr) ti fa pensare che io sia un tipo aggressivo? Ma dai, sono un pezzo di pane! Non mi riconosco nell’immagine del macellaio di Bilbao. Ero un calciatore internazionale, sono il difensore con più gol nella storia dell’Athletic, non sono mai stato messo in discussione per tutta la carriera. Se di me resta la durezza, qualcosa è andato storto»

Ovviamente dipende da quell’entrataccia su Dieguito.

«Mi sono trovato davanti Maradona e gli ho fatto male con un’entrata ingiustificabile. Ma diciamoci la verità: fino a quell’infortunio non aveva vinto nulla. È dopo che ha iniziato a vincere tutto, a Napoli e con l’Argentina. Non gli ho certo rovinato la carriera».

Tuttavia, la cosa l’ha segnato a vita.

«È stato tremendo, sono stato malissimo. Ho subito critiche feroci, sono stato trattato come se fossi un criminale. Per questo sarò sempre grato a Miguel Muñoz, l’allenatore della nazionale, che cedette alle enormi pressioni della stampa di Barcellona e Madrid affinché smettesse di convocarmi. È difficile pensare che io oggi venga ricordato solo per quell’entrata. Ho ricevuto costantemente minacce, anche dall’entourage di Maradona. Non potevo essere a casa perché il telefono squillava continuamente, erano persone che volevano intervistarmi o insultarmi. Sapevo di aver sbagliato, ma la reazione è stata eccessiva e ho avuto difficoltà a venirne fuori»

Alla fine però Andoni ne è venuto fuori.

«I tifosi dell’Athletic e i miei compagni di squadra mi hanno tirato fuori da questo vortice. Dopo il fallo su Maradona giocammo contro il Lech Poznan, in Coppa dei Campioni. Pablo Porta, allora presidente della Federazione, era nei pressi di San Mamés e quello stesso giorno era stata formalizzata la squalifica di 18 partite. Vincemmo 4-0 dopo aver perso l’andata in Polonia per 2-0 e segnai il primo gol. Alla fine, i miei compagni di squadra mi sollevarono sulle spalle e dagli spalti facevano il tifo per me. Fu molto emozionante».

Al Barça cominciarono a insultare Goikoetxea già due anni prima, per un fallo che infortunò Schuster.

«Hanno portato avanti questa storia di Schuster per secoli. Il medico del Barcellona, ​​González-Adrio, dichiarò che Schuster si era già rotto col Colonia e che l’entrata di Goikoetxea non aveva causato l’infortunio. L’ha detto il dottore, non io. L’intervento su Maradona non avrei dovuto commetterlo e sono l’unico responsabile. Ero infervorato, un minuto prima Schuster mi fece un brutto fallo e l’arbitro non lo ammonì. Ero incazzato e feci questa entrata folle, clamorosamente in ritardo perché Maradona era velocissimo. È il miglior calciatore tra quelli contro cui ho giocato. Un genio, mentalmente forte, ha sopportato tutto. È stato strepitoso. Per il mondo Maradona è stato un dono, ha fatto del male solo a se stesso»

Le scarpette dell’infortunio «Goiko» ce le ha esposte, in casa.

«Sì, ma non è un trofeo di caccia, anzi. Quegli scarpini simboleggiano il meglio e il peggio del calcio, gli alti e bassi della mia carriera. Li ho indossati due volte: contro Maradona e contro il Lech Poznan. È come se fossero un’opera d’arte. Simboleggiano la massima tristezza per l’infortunio causato a Diego e il riscatto di pochi giorni dopo: la gioia del traguardo, la vittoria e il sostegno del mio popolo. Per questo li conservo. Qualcuno pensa che li tenga qui perché sono un pazzo, un criminale. Ma è il contrario. Sono troppo vecchio per preoccuparmene: quella cattiva fama oramai me la faccio scivolare addosso»

Anni dopo, quando giocò contro il Siviglia di Maradona, Goikoetxea si trattenne con Diego.

«Sì, sono sempre stato dispiaciuto per quello che è successo e mi è sembrata l’occasione migliore per provare a parlargli dopo così tanto tempo. Glielo proposi attraverso un delegato del Siviglia, mi sembrò una buona idea. Prendemmo un caffè nel suo hotel e chiacchierammo per 40 minuti. Fu piacevolissimo. Parlammo di tutto. Della famiglia, del calcio e anche di quell’intervento falloso. Diego non serbava rancore nei miei confronti e gli sono stato molto grato per essere riuscito a chiudere quel capitolo»

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