ilNapolista

De Laurentiis è nella storia del calcio per aver esonerato Ancelotti per Gattuso

Breve manuale per resistere alla barzelletta del fallimento napoletano del miglior allenatore del mondo. Con un paio di inediti

De Laurentiis è nella storia del calcio per aver esonerato Ancelotti per Gattuso

Aurelio De Laurentiis ce l’ha fatta a entrare nella storia del calcio. Nel manuale “come non si fa il presidente di calcio” – che un giorno sarà best-seller – si è meritato un capitolo interamente dedicato a lui. Aver esonerato il miglior allenatore di sempre per sostituirlo con un tecnico di assoluta modestia ma considerato in assonanza col popolo. Perché a Napoli il calcio è una questione innanzitutto antropologica. Se hai vinto qualcosa, sei guardato con diffidenza. Come accaduto a Benitez prima di Ancelotti. Napoli è isola a sé, rifiuta quel che accade nel resto del mondo. “Qui si pedala” fu il titolo di un giornale un tempo celebre all’indomani del primo allenamento di Gattuso. Come se prima si raccontassero le barzellette. Cominciò l’era del veleno che ha finito con l’avvelenare soprattutto le casse del Napoli: chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

Non solo De Laurentiis esonerò Ancelotti, ma al termine della prima stagione di Gattuso concesse un’intervista al Corriere dello Sport in cui disse:

«Mi ricordava mio padre. Scelsi la sua serenità, la tranquillità, la sua piacevole vicinanza. Mio padre era un filosofo, un uomo dolcissimo. Come Carlo. Ma prendendo lui, non so se feci la cosa più giusta per il Napoli. Dopo la prima stagione, potendo ricorrere alla clausola rescissoria, avrei dovuto dirgli: “Carlo, per me non sei fatto per il tipo di calcio che vogliono a Napoli, conserviamo la grande amicizia, il calcio a Napoli è un’altra cosa. Ti ho fatto conoscere una città che adesso ami spassionatamente e che ti ha sorpreso, meglio finirla qui. E invece sbagliai una seconda volta».

“Il calcio a Napoli è un’altra cosa”. E infatti: lui da solo ha vinto quel che Napoli mai vincerà nella sua storia neanche tra mille anni. Praticamente gli fece lui un favore a tenerlo a Napoli un altro anno, come se Ancelotti non avesse avuto mercato. Infatti lo ha ripreso semplicemente il Real Madrid. Lo trattò da pensionato. Perché così era definito in città. Pensionato. Inadeguato. Un pacco (qui ci sarebbe una citazione d’autore, d’autore si fa per dire). Era venuto per sistemare il figlio. Povero Davide professionista stimato in tutte le squadre in cui è andato a lavorare col padre, a Napoli (patria incontrastata del nepotismo) trattato come se fosse un idiota. Quanta mancanza di rispetto.

A Napoli, il primo anno, Ancelotti arrivò secondo (la Juve aveva acquistato Ronaldo). Secondo posto che a Napoli giudicano così: “merito di Sarri”. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Sono gli stessi che in queste ore provano goffamente a difendere quell’esonero. Perché è vero che fu De Laurentiis a licenziare Ancelotti ma è altrettanto vero che l’ambiente non lo tollerava. Ovviamente non tutto. Come al solito, ovunque, è la parte più rumorosa che condiziona. Quella che poi tiene inchiodata Napoli nei bassifondi. Nella sua ultima apparizione al San Paolo (Napoli-Genk 4-0) Ancelotti venne applaudito dal pubblico che sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima apparizione.

È vero che il Napoli era al settimo posto in classifica, a otto punti dalla quarta (con Gattuso finì a 16 punti), ma le situazioni vanno contestualizzate. Ancelotti venne chiamato per dar vita a un nuovo ciclo. E c’era bisogno di cedere ancor prima di acquistare. C’era bisogno di aria nuova, di mentalità nuova. Per non finire a casa di Mertens tre anni dopo a far visita al figlio, per capirci. Bisognava chiudere col fantasma dei 91 punti e del sarrismo. Il tecnico emiliano provò in ogni modo a farlo comprendere a De Laurentiis. Il suo progetto a Napoli durò un anno. La fine cominciò in estate quando il club non diede seguito ad alcuna cessione, favorendo così un clima complesso nel gruppo con divaricazioni tra i fautori del cambiamento e i resistenti. L’ultimo tentativo del tecnico fu Ibrahimovic che avrebbe “sventrato” lo spogliatoio, cambiato i rapporti di forza e favorito il nuovo corso. Era tutto fatto. Sappiamo com’è andata. Ed evitiamo di affrontare la questione arbitrale, Ancelotti fu il primo a porre la questione: “chi decide? L’arbitro o il Var?” ma la battaglia politica era troppo complessa per i complottisti alle vongole di casa nostra.

Capitolo ammutinamento. Anche questo a Napoli addebitato ad Ancelotti. Scambiato per una rivolta contro di lui, mentre fu contro il presidente per la sua decisione del ritiro punitivo. Ancelotti è ancora oggi accusato di non aver saputo convincere la squadra ad andare a Castel Volturno. Pochi sanno, anzi nessuno, che Ancelotti – il giorno di un allenamento previsto al San Paolo – si era accordato con i calciatori per chiedere scusa a De Laurentiis. Due tra i calciatori più rappresentativi erano stati scelti per la solenne autocritica. Il presidente venne chiamato, diede il proprio assenso e fu invano atteso al San Paolo. Non arrivò mai. Venne convinto dai suoi consiglieri ad esercitare unicamente la linea dura che poi portò al disastro. Le responsabilità del disastro presidenziale vanno certamente divise con Chiavelli e Giuntoli che da mesi premevano per il suo esonero.

Infine il capitolo coppe europee, che a Napoli è considerato poco più di un orpello. Dei due gironi Champions giocati dal Napoli di Ancelotti non è rimasta memoria. Il Liverpool di Klopp venne battuto due volte (una volta da campioni d’Europa in carica, mai accaduto nella storia del club), e con Maksimovic e Mario Rui non con Modric e Benzema. A Parigi il Napoli giocò la più bella partita in trasferta della sua breve storia in Champions. Finì per pareggiare 2-2 solo al 92esimo per un magnifico gol di Di Maria. Un anno e mezzo dopo, quel Psg sarebbe andato in finale. Il secondo anno il Napoli arrivò agli ottavi di Champions e venne eliminato – con Gattuso – da uno dei Barcellona più modesti della storia (venne poi preso a pallate dal Bayern). Non sapremo come sarebbe finita con Ancelotti e Ibrahimovic.

Resta la parentesi Everton, ultima disperata carta degli incompetenti. “All’Everton ha fallito come a Napoli” dicono. Quest’anno il club di Liverpool si è salvato alla penultima giornata, dopo aver visto in faccia lo spettro della retrocessione. Che è proprio la situazione di classifica dove lo prese Ancelotti dopo l’esonero del Napoli. L’Everton era quindicesimo. In poche giornate il tecnico portò la squadra fuori dalle secche della retrocessione e il secondo anno – con una campagna acquisti all’insegna del risparmio dopo gli sperperi delle stagioni precedenti – condusse l’Everton a successi dimenticati da tempo: vinsero il derby ad Anfield Road, il Tottenham fuori casa, sconfissero Chelsea, Arsenal, un pareggio 3-3 in casa dello United, il ritorno (ovviamente provvisorio) in testa alla classifica e un campionato a lungo in zona Europa. Finì decimo, ma definire negativa quella stagione può essere consentito solo agli esperti di filatelia e numismatica.

Tanto ancora potremmo scrivere sulla clamorosa occasione gettata dal Napoli e da De Laurentiis che con la scelta suicida dell’esonero ha ipotecato il futuro suo e del club. Ci limitiamo a un altro inedito. La sera prima di Torino-Napoli settima giornata d’andata del campionato 19-20, si giocò Genoa-Milan. In panchina, per i rossoneri, c’era Giampaolo. Nel ritiro del Napoli Ancelotti e lo staff tecnico stavano guardando la partita e si cominciò a parlare del Milan. Giuntoli disse che l’unico che li aveva fatti giocare era stato Gattuso. Quel che colpì fu il calore con cui il direttore sportivo difese le proprie idee. Una “partecipazione” degna di miglior causa, che lasciò interdetta la platea anche se lì per lì nessuno ci fece caso più di tanto. Era la sera del 5 ottobre. Un mese dopo ci fu l’ammutinamento, due mesi dopo l’esonero di Ancelotti. Indovinate per chi?

ilnapolista © riproduzione riservata