Per il Foglio «non ci sono più i portieri di una volta, oggi sembrano un po’ tutti uguali»

«Ferron, Soviero o Taglialatela non saranno entrati nella storia del grande calcio, ma il loro stile lo puoi ripescare nella memoria di chi ama il pallone. Oggi è diverso»

taglialatela

Non ci sono più i portieri di una volta, anche perché oggi sembrano un po’ tutti uguali.

È l’opinione del Foglio. Che parte da un piccolo libro, scritto bene da Massimiliano Lucchetti, che si intitola “Portieri di provincia degli anni ’90”.

Parla di dodici numeri uno, tipi alla Fabrizio Ferron, Salvatore Soviero o Pino Taglialatela. Non saranno entrati nella storia del grande calcio, ma il loro stile lo puoi ripescare nella memoria di chi ama il pallone. Vizi e virtù, parate e papere. Oggi non funziona proprio così.

Perché sembrano tutti uguali?

Due cose in particolare li accomunano. Su una caratteristica fisica sembra davvero non si possa transire: devono essere alti, altissimi. E devono essere spessi, insomma, degli armadi a cinque ante, piazzati sulla linea di porta. Anzi, sulla linea di porta è un’idea che ha trovato una nuova prospettiva. È la vera evoluzione della specie. Perché tutti devono saper giocare con i piedi. Diciamola con un pizzico di tecnicismo in più: la costruzione dell’azione deve partire sempre dal basso. E dunque dai piedi del portiere.

Vale per Alisson, vale per Ederson nonostante le parole di Allegri. Non fa eccezione Gigio Donnarumma, anche se questa stagione – scrive il Foglio – ha avuto qualche problemino. Contro tendenza ci va solo Oblak.

Chi invece sembra un’eccezione è Jan Oblak, portiere slovacco dell’atletico Madrid, protagonista (positivo) anche nell’ultima gara persa di misura proprio contro il Manchester City. C’è chi da qualche anno lo indica come il più efficace dei numeri uno e non a caso ha una valutazione di almeno 60 milioni. Caratteristiche principali? Straordinariamente reattivo tra i pali, un muro invalicabile. Però è meno a proprio agio se deve risolvere con i piedi situazioni complicate. Insomma, uno contro tendenza

Per il Foglio «niente sembra più naif come lo era quel ruolo tanto amato da Albert Camus».

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