Malagò: «Nel calcio esistono ancora dinamiche padronali, i presidenti se la cantano e se la suonano»

Al CorSport: «I bilanci parlano. E dicono che si è perduta la via maestra del risultato economico senza raggiungere traguardi sportivi. Gravina l'ha capito bene»

Malagò

Roma 12/07/2021 - Nazionale di Calcio Italiana a Palazzo Chigi / foto Pool/Insidefoto/Image Sport nella foto: Giovanni Malago'

Sul Corriere dello Sport una lunghissima intervista di Alessandro Barbano al presidente del Coni, Giovanni Malagò. Tanti i temi affrontati, dalla guerra in Ucraina e le ripercussioni sugli atleti russi e ucraini alla Nazionale fuori dal Mondiale, dalle Olimpiadi al calcio, con la sua crisi ed il suo ritardo culturale.

«Il calcio è l’unico sport dove esistono ancora dinamiche padronali. Almeno in Italia. In Inghilterra il proprietario non ha mai una gestione diretta della società. Delega, conferma, ricambia. Da noi, invece, i presidenti se la cantano e se la suonano. Ricordo che, quando da commissario della Lega ho messo in moto la revisione dello statuto per avere un consiglio di amministrazione con presidente, amministratore delegato, consiglieri indipendenti, mi guardavano come uno che volesse violentarli. Eppure giocavo in casa, c’era confidenza e stima reciproca, è gente a cui voglio bene e con cui vado a cena. Ma per loro l’ideale era continuare a mantenere la gestione dell’assemblea partecipativa, in cui si comanda in venti per non far comandare nessuno. Lo stesso accade all’interno delle società. Chi vende i diritti tv non può essere la stessa persona che si occupa dell’erba del campo e del contratto dei calciatori. I bilanci parlano. E dicono che si è perduta la via maestra del risultato economico senza raggiungere traguardi sportivi. Perché Moratti, Berlusconi e prima l’Avvocato hanno speso sì un sacco di soldi, ma almeno lo sfizio se lo sono tolto, alzando coppe da tutte le parti. Oggi abbiamo solo debiti e umiliazioni fuori dai confini. Guardi il livello quantitativo e qualitativo, dei diritti tv. Pochi introiti e contenziosi a gogo».

Se non fossero arrivati gli americani con i loro soldi freschi, dice, «molti club sarebbero già saltati».

Inutile sperare che si facciano avanti grandi imprenditori italiani.

«Le grandi famiglie, quelle che restano, sono scioccate dal sistema».

Gli stipendi dei calciatori restano ancora troppo alti.

«Una cosa mi colpisce. Il calcio è l’unica economia che ragiona al netto e non al lordo. Significa misurare la realtà sul desiderio e sul consumo e non sull’investimento che c’è dietro per realizzarli».

Gravina ha compreso bene la situazione.

«Gravina sì, e molto bene. il nuovo presidente della Lega, Lorenzo Casini, è un giurista: deve essere messo nella condizione di lavorare. Servono una nuova governance e nuove regole. E soprattutto armonia tra Federazione e Lega».

Sulla Superlega:

«Mi chiedo se la Champions non lo sia già, una Superlega. Avete visto il solco che si sta scavando in termini di introiti, tra le squadre che vi accedono e quelle che restano fuori? Non mi sembrano maturi i tempi per creare un’ulteriore dinamica di upgrade. Non facciamo gli ipocriti, è normale che un azionista ci provi per dare una sistemata a bilanci disastrati. Ma non per questo la Superlega diventa sportivamente accettabile. La mia stella polare è il Cio. Se fai un campionato fai-da-te, alle Olimpiadi non ci vai».

Malagò si schiera a favore dei playoff e playout («certo non con venti squadre») e del tempo effettivo.

«Non sopporto di vedere calciatori per terra che simulano fratture multiple, o giocatori sostituiti che escono dal campo al ralenti. Il tempo effettivo promuove la lealtà sportiva».

Ed è d’accordo anche sul Var a chiamata.

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