Costacurta: «La Serie A s’accontenta di chi ha talento e non testa o di chi ha testa e poco talento»
Al Corsport. «Chi ha entrambi, testa e talento, finisce altrove. Siamo la terza scelta. Milan, Napoli e Inter imperfette»

L’edizione odierna del Corriere dello Sport intervista Billy Costacurta. Ex calciatore, simbolo del Milan. Ora opinionista per Sky. Da sempre anche appassionato di calcio inglese. E nell’intervista – che dalla Premier parte – si analizza il rush finale del campionato di Serie A e Non solo.
Manchester City-Liverpool.
«Magari è una fissazione mia, ma a me sembra proprio che non possa esserci di più nel calcio di oggi. S’è visto anche in Champions. Secondo me ci sono in campo quindici dei primi trenta giocatori del mondo, sette-otto da una parte e sette-otto dall’altra. Fa sorridere, lo so. Forse a scavare scopriamo che il Liverpool ne ha qualcuno in più. O forse no. Tra i due portieri Ederson e Alisson io sceglierei Ederson, in questo momento. Walker è uno dei terzini destri più forti al mondo, se non il più forte. Ruben Dias ha sistemato la fase difensiva del City. Per me anche Cancelo è tra i top. Come la mettiamo la mettiamo, il livello è altissimo».
Salah da Pallone d’Oro.
«Il migliore di tutti gioca nel Liverpool: dico Salah, naturalmente. E lo dico perché De Bruyne non è in perfetta forma fisica, altrimenti dovrei metterli sullo stesso piano. Quando non vengono premiati certi giocatori, chiaro che riconoscimenti come il Pallone d’Oro perdono fascino e credibilità. Lewandowski non poteva non vincere, lo scorso anno. Così diventa poco attuale: premiare quello che è forse il più grande giocatore di tutti i tempi, cioè Messi, significa perdere di vista lo scopo, la valutazione dell’annata appena conclusa. Probabilmente Salah non era nella sua fase migliore, ma che abbia ricevuto poca attenzione nelle ultime edizioni del premio è indubbio».
È anche un duello tra i due tecnici forse più influenti di quest’epoca.
«E credo che Klopp sia fiero di essere accostato a un allenatore come Guardiola, uno che sta nella categoria di quelli che hanno cambiato il calcio. Con Cruijff e Sacchi, per capirci».
Si torna in Italia.
«Quando giocavo nel Milan per noi partite facili o difficili, in casa o fuori casa, pari erano. Giocavamo sempre per vincere. Come queste due. Sono troppo più forti delle altre. Sta qui la differenza con le squadre italiane: anche quelle di vertice da noi sono imperfette».
Le squadre italiane non sono solide.
«Diciamo che in Serie A nulla è scontato. Milan, Inter, Napoli, dicevo, sono tutte squadre non perfette. Così ogni weekend capita qualcosa di sorprendente. E questo è positivo in un certo senso. D’altra parte, se vogliamo sognare di tornare grandi abbiamo bisogno di formazioni più solide. In Inghilterra City e Liverpool quasi vincono sempre perché sono le più forti. Da noi il Milan non batte il Bologna, il Napoli fatica con l’Udinese, l’Inter perde in casa con il Sassuolo. Squadre imperfette, appunto. Questo significa che non andranno mai troppo avanti in Europa».
Tra queste tre squadre imperfette c’è una favorita?
«No. O forse c’è, ma io non la vedo. Tutte stentano a restare novanta minuti sul pezzo. Mi rendo conto che spesso nella mia carriera di giocatore guardavo alla meta senza godermi il viaggio. Voglio dire che se cominci a pensare: forse vinco lo scudetto, forse così lo perdo, allora ti sottoponi a tensioni eccessive. Ecco, mi sembra che le nostre squadre non riescano a godersi le partite in sé e si logorino nell’ansia dell’obiettivo»
Che cosa manca alla Serie A per tornare a essere un grande campionato?
«È banale dirlo: le risorse. E da lì a cascata gli stadi, i calciatori di punta. Una volta Berlusconi poteva scegliere il giocatore migliore con la testa migliore. Ora dobbiamo accontentarci di chi ha talento e non testa o di chi ha testa e poco talento. Chi ha entrambi, finisce altrove. Mi dispiace dirlo, ma siamo diventati la terza scelta. Negli ultimi vent’anni abbiamo sottovalutato alcune componenti: gli stadi di proprietà, le infrastrutture, la sostenibilità. Se gli investitori stranieri peferiscono altri luoghi, vuol dire che qualche treno lo abbiamo perso».
E quanto pesa sulle prospettive del calcio italiano questa nuova esclusione dal Mondiale?
«Talvolta c’è bisogno di un disastro per trovare qualche idea nuova. A sentire i presidenti di Federazione e Lega, mi sembra che ci siano le giuste energie e le giuste motivazioni per ricominciare. Fare qualcosa di diverso, questo serve. Spiace dirlo, ma partiamo in ritardo. Sento parlare di squadre B, di importanza dei giovani. Ma sono quattro o cinque anni che avremmo dovuto spingere su questi argomenti. Almeno adesso abbiamo uno stimolo ad agire. È l’aspetto positivo della delusione».