Ha ridotto il razzismo e ogni forma di discriminazione a goliardia da 10mila euro di multa. E adesso può solo riempirsi la bocca di paroloni
Discriminazione, insulto, offesa, denigrazione. Che sia territoriale o etnica, religiosa o d’orientamento sessuale, a mezzo striscione o coro, alla fine il conto sarà sempre 10.000 euro. La somma zero della civiltà.
La giustizia sportiva in Italia ha la forma d’una mancia. Garantisce punizioni a prezzo di saldo costante, funziona come Poltrone e Sofà. A scatto fisso: i 10.000 euro, appunto. Avanti un altro. Ed è questo il segno irrisolvibile della bufera striscione scoppiata a Verona: la giustizia sportiva è tale perché l’hanno progettata così. Rotta, disfunzionale, patologicamente arretrata, incapace di intendere e di volere.
Tanto che poi, quando l’indignazione trascina lo scandalo settimanale fuori dal recinto “sportivo”, la giustizia ordinaria, la legge dello Stato che non risponde al Coni, è costretta ad arrancare sperando di metterci una pezza per due o tre giorni, giusto il tempo che la temperatura s’abbassi e i social virino altrove. Per lo striscione veronese la Procura della Repubblica potrebbe addirittura procedere per istigazione a delinquere.
In questa disperata rincorsa ad un reato punibile purchessia c’è già tutto. La totale disconnessione dal contesto è palese. Anche solo l’ipotesi di istruire un’inchiesta sull’assunto logico per cui apporre per strada uno striscione con le coordinate geografiche di Napoli riferite alla guerra in Ucraina presupporrebbe un'”istigazione” al bombardamento della città è sconfortante. Magari là fuori c’è davvero qualcuno così facilmente influenzabile da sbarcare a Capodichino con un Rpg nel trolley, hai visto mai. Ma è chiaro che è tutta una commedia. Alla ennesima replica. Guardate questo striscione della curva romanista, pieni anni 80. Gheddafi è morto, nessuno ha mai bombardato Torino, ma noi siamo ancora allo stesso punto:
La giustizia-quella-vera calcia la palla in tribuna nella speranza che il tempo scada, e si passi ad altro. Un trucchetto, sempre il solito, affinché la pubblica opinione assorba un altro cortocircuito dell’intelligenza umana: quello striscione dei tifosi del Verona non è punibile dal codice sportivo perché apposto lontano dallo stadio, fuori dal suo raggio d’azione.
La giustizia sportiva a chilometro zero è una nostra eccellenza. E’ Doc. Si dà un perimetro oltre il quale non può dare mostra di sé, per timidezza. Per cui poi – come scrive oggi la Süddeutsche Zeitung – si concentrerà sui cori razzisti al Bentegodi. “Che altrimenti non avrebbero sentito”, puntualizza il giornale tedesco che ben conosce l’andazzo. Indovinate a quanto ammonterà il danno? 10.000 euro. Tanto è “goliardia”, si sa. Il prezzo è quello. Se poi, come in questo caso – ma solo in questo – bisogna dare un contentino all’Italia indignata, si chiude per una giornata la curva. Per i cori, ovviamente: i tedeschi sanno con chi hanno a che fare.
Se siamo costretti a commentare da tre giorni ormai uno striscione disgustoso fatto da idioti perché altri idioti intendano è perché deiezioni del genere possono riprodursi a dispetto del Codice che dovrebbe occuparsene. Quel castello in formato matrioska russa, piramidale, creato per grippare ogni volta come fosse la prima. Un ordinamento federale che non può vivere senza far riferimento alle norme dell’ordinamento federale gerarchicamente superiore e così via, fino alla punta della piramide, cioè nientemeno che il CIO, è un fallimento in potenza. Si disinnesca da solo.
L’hanno creato così. L’hanno fatto apposta. Ed è perfetto per non-gestire il tema che più di ogni altro meriterebbe invece una efficiente macchina della giustizia, leggera e appuntita: il razzismo, la discriminazione. Il vuoto a perdere della nostra indignazione.