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Ne esce ridimensionato più Spalletti che il Napoli

L’errore è stata l’ambizione smodata di giocarsi la partita in maniera offensiva, che si è sostanziata in un mix letale tra possesso dal basso e squadra lunga che ha finito per favorire il Barcellona

Ne esce ridimensionato più Spalletti che il Napoli
Db Napoli 24/02/2022 - Europa League / Napoli-Barcellona / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Victor Osimhen

Cosa voleva fare Spalletti

Il Napoli di Luciano Spalletti ha incassato una lezione tattica e tecnica molto severa, dal Barcellona di Xavi. Il 2-4 subito ieri sera è addirittura riduttivo rispetto a ciò che si è visto sul campo da gioco dello stadio Maradona. E non è solo una questione di valori: la squadra catalana ha dominato la gara perché la sua impostazione è risultata migliore, più giusta, più centrata ed efficace, rispetto a quella di Spalletti. E si è visto ben al di là dei gol segnati da Jordi Alba, De Jong, Piqué e Aubameyang: il punto è che il Napoli non ha mai messo in difficoltà reale il suo avversario, è sceso in campo per attuare una strategia – anche piuttosto chiara – e si trattava di una strategia del tutto sbagliata per poter sconfiggere quell’avversario.

L’idea iniziale di Spalletti era quella di sfidare il Barcellona sul suo terreno, quello del possesso palla arretrato, della costruzione ragionata. Da qui anche la scelta, diversa rispetto alla gara del Camp Nou, di schierare Mário Rui piuttosto che Juan Jesus nello slot di quarto difensore di sinistra. Solo che è stata perseguita in modo fin troppo ambizioso: il Napoli, infatti, è stato fin da subito molto lungo e largo in campo, e questo ha permesso al Barcellona di non perdere mai il predominio negli spazi. La strategia di Spalletti è riuscita solo una volta in tuta la gara: quando Insigne ha trovato Osimhen nello spazio e Ter Stegen ha fatto fallo da rigore.

Ecco: il Napoli di Spalletti avrebbe dovuto giocare sempre così

Idealmente, la tattica di Spalletti non era neanche così sbagliata. Si vede chiaramente da queste immagini: se il Barça tende a restringere gli spazi difensivi e il mio attaccante di riferimento è Victor Osimhen, io mi apro il campo “chiamando” il pressing avversario con il possesso basso e poi, solo dopo, lancio il pallone negli spazi larghi, quelli che Osimhen ama attaccare. Anche in altre – poche, per non dire pochissime – situazioni, questo meccanismo ha funzionato. Per esempio al 35esimo minuto del primo tempo:

Cosa vuol dire saltare la prima linea di pressione

Questo tipo di risalita dal campo, prima ragionata e poi verticale, impone degli obblighi. Nel senso che è destinata a funzionare solo quando i reparti sono corti. Quando i giocatori che si scambiano il pallone in zona arretrata sono vicini e, soprattutto, precisi negli appoggi. Quando riescono a farlo senza paura, e con continuità. Ecco, il Napoli è mancato in tutti questi aspetti. Come detto in precedenza, la squadra di Spalletti è apparsa fin da subito lunga sul campo, senza qualcuno che riuscisse a connettere il blocco difensivo con quello offensivo.

In questo senso, la scelta iniziale di confermare il 4-2-3-1, quindi il triangolo di centrocampo con vertice avanzato, ha tolto un’ulteriore linea di passaggio ai giocatori azzutti. Non a caso, nelle due azioni in cui il Napoli riesce a superare la prima linea di pressione, quelle che vedete nei video appena sopra, Zielinski si trova in posizione più arretrata, ha svuotato il centro del campo costringendo Busquets a seguirlo.

Fabián Ruiz imposta fa la salida lavolpiana, cioè retrocede a impostare il gioco in mezzo ai due centrali difensivi; davanti a lui, però, c’è solo Demme. Oltre il tedesco, un vuoto cosmico, una porzione di campo priva di giocatori. Fin dai primi istanti di partita, il Napoli è già lunghissimo e slegato.

Ovviamente, le mancanze tattiche del Napoli dipendono anche da quelle tecniche. Ovvero dal fatto che alcuni giocatori schierati da Spalletti non erano adatti a questo tipo di piano-partita. Primo tra tutti, Diego Demme. Il centrocampista tedesco, incredibile ma vero, ha fatto registrare il 100% di precisione nei passaggi. Il punto è che, nei 45 minuti in cui è stato in campo, di passaggi ne ha effettuati solamente 19. Pochi, pochissimi, perché si possa pensare a lui come al nodo di una fase di costruzione sofisticata com’era nelle intenzioni di Spalletti.

Nel postpartita, non a caso, il tecnico del Napoli ha parlato di come Demme fosse un giocatore meno adatto a questo tipo di gara rispetto per esempio a Lobotka, uno dei tanti assenti. Il punto è proprio questo: se Lobotka era indisponibile e Demme non era quel tipo di calciatore, per quale motivo il Napoli ha scelto di impostare una partita di possesso?

Contro-ideologia

Oltre a parlare dell’inadeguatezza di Demme, Spalletti ha spiegato anche che l’obiettivo del suo Napoli era quello di «giocarsi la partita in un certo modo per non farci vedere intimoriti». Un attimo dopo, il tecnico toscano ha aggiunto che «si è sbagliato troppo, e allora si doveva andare sulla punta». Traduzione in termini tecnici ma anche emotivi: il Napoli avrebbe dovuto annusare l’aria avversa e cambiare approccio, stile, trasformare i suoi meccanismi di riferimento. Forse però era troppo tardi.

Un’altra cosa di cui tener conto è la grande gara giocata dal Barcellona in un contesto che gli era diventato congeniale per colpa del Napoli, ma anche di episodi favorevoli. Perché, va detto, i due gol iniziali – che hanno accelerato in maniera decisiva un’inerzia già inclinata verso la squadra di Xavi – non nascono da errori del piano tattico, ma da sbavature tecniche e situazionali: il calcio d’angolo battuto in maniera – a dir poco – maldestra da Insigne; una pessima copertura di Rrahmani su un lancio lungo di Ter Stegen.

Il tiro di De Jong è una perla, ed è ciò che conta. Ma serve, anzi è necessario, capire anche tutti gli errori commessi dal giocatori del Napoli prima della conclusione del centrocampista olandese.

Avevamo parlato di un Napoli lungo sul campo. Ecco, in questi pochi secondi di azione si manifestano i problemi dovuti a questa impostazione. La squadra di Spalletti prova ad alzarsi in pressing sulla costruzione bassa del Barça, solo che Ter Stegen sceglie un’altra soluzione. Ha la qualità per farlo, per lanciare bene anche sulla distanza medio-lunga. Solo che questo suo passaggio è sbagliato. Paradossalmente, almeno in quest’azione la strategia tattica del Napoli ha funzionato. Solo che però Rrahmani non respinge bene il pallone. Anzi, il suo colpo di testa rimette in gioco Ferrán Torres e apre lo spazio per l’azione personale di De Jong. Che è un campione assoluto, migliore in campo per distacco della partita di ieri, e trova un gol da favola. Ma sfrutta anche uno spazio in cui il Napoli non c’è.

Già prima del doppio vantaggio, ma soprattutto dopo il doppio vantaggio, il Barcellona ha potuto sciorinare il meglio del suo repertorio. È così che la squadra di Xavi ha dominato. Con il possesso (59% a fine primo tempo). Con la difesa alta. E con qualche ricorso alla contro-ideologia. Perché i principi di gioco imposti dal nuovo tecnico sono quelli che caratterizzano da molti anni il dna degli azulgrana, ma ci sono anche delle interessanti variazioni sul tema. Non tanto i lanci lunghi tentati da Ter Stegen o dai suoi compagni (alla fine la quota è simile a quella del Napoli: 42 per i catalani, 39 per gli azzurri), quanto il ricorso continuo al gioco in ampiezza.

In alto, le posizioni medie del Barcellona; sopra, invece, Jordi Alba imposta dal basso con Ferrán Torres e Traoré larghissimi sulle due faxce.

Come si vede chiaramente nelle due immagini appena sopra, i due laterali offensivi del Barça (Traoré e Ferrán Torres) sono rimasti costantemente in posizione larga. Anzi: larghissima. Spesso le sovrapposizioni di Dest e Jordi Alba gli hanno dato supporto, ma il punto è che il vecchio-nuovo Barcellona pensato e costruito da Xavi prevede l’utilizzo del gioco di posizione nella fase di costruzione e per vie centrali, poi l’apertura sugli esterni d’attacco per rifinire e finalizzare l’azione.

Questo mix tra passato e presente, soprattutto contro squadre che provano a difendere in modo ambizioso come il Napoli, finisce per essere letale – se interpretato bene, ovviamente. Esattamente come successo in occasione del gol di Aubameyang nella ripresa. Che è l’unico arrivato al termine di una manovra veramente tattica e ragionata degli uomini di Xavi, ma che in realtà è il risultato della continua pressione esercitata sul Napoli attraverso il dominio del possesso palla, dell’occupazione perfetta del campo in verticale e in ampiezza.

Un’azione perfetta

Nella ripresa

In quest’azione, il Napoli si era già riordinato secondo un 4-3-3/4-5-1 più compatto: triangolo rovesciato a centrocampo con Fabián vertice basso, Elmas e Zielinski mezzali, Politano e Insigne larghi alle spalle di Osimhen. Non è servito a molto quando il Barcellona ha mosso il pallone in maniera perfetta, come nell’azione che ha portato al tiro di Aubameyang, ma nel complesso il cambio di sistema ha migliorato un po’ il rendimento della squadra di Spalletti. Non a caso, viene da dire, nel secondo tempo il Napoli ha raggiunto una quota percentuale di possesso più alta (46%) e ha concesso solamente 5 tiri al Barcellona. Scagliandone altrettanti verso la porta di Ter Stegen.

Un’immagine del 4-3-3 del Napoli nella ripresa, con Fabián pivote davanti alla difesa

Ciò che resta della ripresa è una sensazione di maggior ordine, di una costruzione più razionale, di distanze più corte. Si è avvertito un leggero miglioramento anche grazie a Politano, che ha permesso a Elmas di spostarsi in un ruolo a lui più congeniale. Il macedone rende sicuramente meglio come mezzala che nello slot di esterno offensivo a destra, come spiegano anche i numeri: i 19 palloni giocati nel primo tempo (lo stesso numero di Alex Meret) sono diventati 33 nella ripresa.

Ovviamente su questi numeri e su queste percezioni hanno pesato il risultato già ampiamente compromesso, quindi l’inevitabile rilassamento del Barcellona e un tentativo minimo del Napoli di non subire una sconfitta catastrofica. Poi al 74esimo sono arrivati i cambi che hanno nuovamente stravolto la situazione: Mário Rui si è spostato in posizione di centrocampista centrale accanto a Elmas, con Ghoulam terzino sinistro; Ounas, Politano e Insigne hanno formato la batteria dei trequartisti alle spalle di Mertens; infine è subentrato anche Petagna. È arrivato il gol di Politano, un palliativo fuori tempo massimo. C’era ben poco di tattico, a quel punto, e infatti l’azione nasce da un pressing altissimo e puramente emotivo di Mário Rui sulla costruzione bassa – per una volta – eseguita in maniera pigra e poco efficace dal Barça.

Conclusioni

Più che il Napoli di Spalletti, è il tecnico toscano a uscire ridimensionato da questa partita. Per tutta la stagione, almeno finora, abbiamo infatti sottolineato come l’ottimo lavoro dell’allenatore toscano abbia permesso di sfruttare il buonissimo potenziale della rosa a sua disposizione. Ne facevamo e ne facciamo un discorso di approccio: il fatto che il Napoli fosse in grado di cambiare abito a ogni partita, di adattarsi al contesto senza perdere efficacia, faceva la differenza rispetto al passato e rendeva ambiziosa e competitiva la squadra azzurra. Spalletti è andato in questa direzione anche per la gara contro il Barcellona, nel senso che è partito da un’idea per vincere la partita e ha cercato di perseguirla. Di attuarla. Il problema è che questa idea si è rivelata sbagliata. Completamente sbagliata.

Da qui il ridimensionamento, che ovviamente si ferma e si limita alla circostanza. A Napoli-Barcellona 2-4. Del resto si tratta di un contrappasso anche per l’idea di chi scrive: il calcio liquido è – per definizione – fluido, quindi passabile di errore. In questo caso, l’errore è stata l’ambizione smodata di giocarsi la partita in maniera offensiva, che si è sostanziata in un mix letale tra possesso dal basso/squadra lunga che ha finito per favorire il Barcellona. E che non aveva ragione di esistere, quindi di essere pensato e preparato, in assenza di Lobotka e/o Anguissa.

Per dirla in una frase: Spalletti, stavolta, ha esagerato con gli esperimenti. Anche perché si è ritrovato di fronte un avversario tecnicamente superiore, in buone condizioni fisiche e psicologiche e con grande entusiasmo per un progetto che inizia a prendere forma. Una condizione esattamente opposta a quella del suo Napoli, di nuovo in emergenza-infortuni e reduce da un periodo di scarsa brillantezza. Ecco, forse partendo da qui avrebbe potuto (avrebbe dovuto) preparare la partita con maggiori cautele. Con dosi maggiori di realismo e pragmatismo. Anche quello sarebbe stato calcio liquido, dopotutto.

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