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Perché Spalletti urlava

Le indicazioni a Demme per la linea a tre in costruzione sono l’ennesima prova di una (da noi) auspicata rivoluzione del pensiero nel Napoli

Perché Spalletti urlava
Napoli 09/01/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Sampdoria / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Evoluzione permanente

Le assenze prima di Napoli-Sampdoria; gli infortuni durante la gara; i cambi di contesti e situazioni e condizioni legate all’andamento del gioco. Tutto ciò che è successo nell’ambito del match contro la squadra di D’Aversa è stato assorbito in maniera serena e matura dal Napoli, una squadra che (finalmente) non ha paura di cambiare. Di trasformarsi. E che, proprio in virtù di questa importante mutazione filosofica, quindi di atteggiamento rispetto al passato, sta vivendo una stagione di evoluzione permanente.

Per capire cosa intendiamo, basta riavvolgere il nastro della gara contro la Sampdoria. Nella prima parte, soprattutto le parole (urla) di Spalletti hanno indicato la nuova strada del Napoli: difesa a due e mezzo in fase di costruzione, pivote unico e mobile davanti alla terza linea, esterni offensivi molto dentro il campo per lasciare spazio ai terzini, un sottopunta anarchico e un centravanti puro. Perché abbiamo sottolineato l’importanza delle parole (urla) di Spalletti a bordo campo? Perché il tecnico toscano, per tutta la prima parte della gara, ha invitato Demme ad avvicinarsi ai due centrali difensivi, così da determinare una vera e propria linea a tre nella prima parte dell’azione.

Il Napoli, in fase di costruzione, si è disposto in campo con il 3-1-4-2: difesa a tre con Demme-Rrahmani-Juan  Jesus; Lobotka pivote; Elmas e Insigne mezzali sulla stessa linea di Di Lorenzo e Ghoulam; Mertens e Petagna in avanti.

Come si vede chiaramente da queste immagini, il Napoli ha attuato in maniera frequente questo meccanismo. Non solo perché questo era il piano-partita, ma perché si è trattata di una scelta ad hoc per affrontare la Sampdoria. Per un motivo semplice: la squadra di D’Aversa è una delle più rigide e scolastiche del campionato italiano. Questa definizione non deve essere letta e interpretata come una critica, ma come l’evidenziazione di un dato di fatto: i blucerchiati cominciano ogni partita con un 4-4-2 standard, la cui unica variabile è la posizione di Thorsby – da quando D’Aversa l’ha trasformato in un finto laterale di centrocampo.

Contro un 4-4-2 puro, la difesa a tre in fase di impostazione consente di avviare ogni manovra in superiorità numerica; alzare gli esterni difensivi e, contestualmente, accentrare molto quelli offensivi, permette di creare maggiori linee di passaggio sia in ampiezza che in verticale; in avanti, le due punte hanno potuto affrontare e quindi muovere solo due centrali, quindi sempre in situazione di parità numerica. Con questi accorgimenti tattici, il Napoli ha preso fin da subito a dominare il possesso (percentuale grezza del 74% all’intervallo) e quindi a gestire la partita. Tenere palla, come al solito, è stata un’arma difensiva più che puramente offensiva: in tutta la prima frazione di gioco, la Sampdoria ha toccato un solo pallone in area di rigore ed è riuscita a tentare per 3 volte la conclusione. Sempre e solo da fuori area.

L’uscita di Insigne

Il piano-partita del Napoli che abbiamo descritto finora è stato pensato e ritagliato anche per esaltare le caratteristiche di Lorenzo Insigne. Che, lo sappiamo, ama partire dalla sua zolla di campo preferita – il fronte sinistro della trequarti offensiva – per venire a giocare nel mezzo spazio di centro-sinistra, laddove può far valere le sue doti balistiche e di regia offensiva col piede forte. Il 3-1-4-2 disegnato da Spalletti, in teoria, avrebbe potuto dargli gli spazi e i corridoi di passaggio ideali perché potesse esprimere le sue qualità.

È andata in questo modo, solo in maniera lenta: fino alla mezz’ora, cioè al momento in cui il capitano del Napoli ha lasciato il campo per un problema muscolare, la squadra di Spalletti ha accumulato un totale di 4 conclusioni verso la porta di Audero. Di queste, solo una è arrivata al termine di un’azione manovrata. Dal 30esimo minuto fino all’intervallo, gli azzurri hanno tentato 5 tiri verso la porta di Audero, più il colpo di testa di Juan Jesus cancellato dal Var per fuorigioco. Di queste 5 conclusioni, 2 sono arrivate su azione manovrata.

Tutti i palloni giocati da Insigne prima di essere sostituito. In tutti gli screen, da qui in poi, il Napoli attacca sempre da sinistra verso destra.

I dati non mentono, anche se ovviamente vanno contestualizzati. L’uscita di Insigne non ha determinato un drastico cambio di piano-partita da parte del Napoli, piuttosto ha cambiato gli equilibri in fase d’attacco: dopo una prima parte di gara in cui il gioco era stato creato soprattutto a sinistra (percentuale superiore al 40%), la squadra di Spalletti si è spostata dall’altra parte, sulla fascia di Politano. Non a caso, a fine partita il Napoli avrà costruito il 39% delle azioni sulla corsia destra.

Anche il gol decisivo di Petagna nasce da quella parte, da un’azione impostata da Demme (come terzo centrale difensivo) e rifinita da Politano e Petagna prima di un cross in area; dopo un po’ di respinte e rimpalli, il Napoli ha ricominciato a palleggiare al limite della sedici metri blucerchiata, poi la sfera è finita a Mertens e infine a Elmas. Dopo un pallone scodellato dentro, è arrivata la semirovesciata di Petagna. Che non sarà un gesto tattico, ma merita di essere menzionato, e rivisto, anche in un articolo di questo tipo.

Un gol molto più tattico di quello che sembra

In questo spazio, lo sapete, cerchiamo di analizzare le partite partendo dai numeri. E dalle evidenze tattiche. Nel caso di Napoli-Sampdoria, è impossibile non sottolineare il cambio di marcia della squadra di Spalletti nel momento in cui il fato ha voluto che Insigne uscisse dal campo. Evidentemente, per essere più pericoloso e quindi efficace in fase offensiva, il Napoli di ieri aveva più bisogno di accelerare a destra piuttosto che concentrare la sua creatività a sinistra; di allargare il gioco sulla fascia di Politano e Di Lorenzo (ma anche di Augello e Thorsby, almeno nel primo tempo) piuttosto che dalla parte di Insigne e Ghoulam (ma anche di Dragusin e Ciervo).

È un discorso di contesto, cioè di spaziature e connessioni con i compagni. Di sfide e duelli ripetuti contro gli avversari di parte. Ma anche di prestazioni individuali: nell’ultimo quarto d’ora (più recupero) del primo tempo, Politano ha partecipato attivamente all’azione del gol, ne ha sfiorato uno con una bellissima azione+conclusione a convergere dalla fascia. Insomma, il cambio imposto dalle contingenze ha permesso al Napoli di trovare la chiave giusta per diventare più pungente in fase offensiva. Nella sua mezz’ora in campo, Insigne è stato bravissimo a lanciare Ghoulam, su un inserimento profondo, con un assist appena lungo; ha servito un passaggio chiave, ha effettuato un dribbling e ha tentato una conclusione in porta. Ma nessuna di queste giocate è stata determinante.

Il secondo tempo

Nella ripresa, D’Aversa ha provato a cambiare l’assetto e l’atteggiamento della sua squadra. Il 4-4-2 del primo tempo è diventato più fluido, si è trasformato in un 4-3-3 con Thorsby schierato a centrocampo (accanto a Rincón e Askildsen) e Ciervo e Gabbiadini a supporto di Quagliarella. Il Napoli si è adattato velocemente al cambiamento: il possesso palla, pur rimanendo nettamente a favore degli azzurri, è sceso al 63%; gli uomini di Spalletti hanno abbassato sensibilmente il proprio baricentro (da 64 a 55 metri) e hanno utilizzato meno la discesa di Demme accanto ai centrali, pur non abbandonandola completamente; il tedesco è stato cercato meno dai suoi compagni e il ruolo di primo regista è stato ereditato da Lobotka, che dai 41 passaggi del primo tempo è salito a quota 59.

Di conseguenza, i principi alla base del possesso palla del Napoli sono cambiati: si sono visti molti più passaggi diretti alla fascia centrale del campo (234 rispetto ai 181 del primo tempo) e meno appoggi verso la trequarti difensiva della Sampdoria (95 rispetto ai 155 del primo tempo). Spalletti ha spiegato questa e altre dinamiche nel postpartita: «Dopo il nostro gol, gli avversari ci sono venuti a prendere. E allora per noi sono stati fondamentali i movimenti di Petagna sull’esterno, sulle fasce. La Sampdoria alzava Rincón sui nostri mediani e muoveva un centrale per seguire Mertens, liberando una certa porzione di campo. Noi abbiamo servito Petagna in quegli spazi e lui è stato bravissimo a ricevere il pallone proprio lì».

In alto, un fermo immagine della ripresa in cui Petagna si allarga sulla destra per creare una linea di passaggio; sopra, tutti i palloni giocati dall’ex centravanti della Spal.

La maggiore aggressività della Sampdoria non ha determinato una grande pressione offensiva. Degli 8 tiri tentati dalla Sampdoria, nemmeno uno è entrato nello specchio della porta. E 4 sono stati respinti. Dei 4 non respinti, solo 2 sono stati scoccati dall’interno dell’area di rigore. Questi numeri sono eloquenti e significativi. Evidenziano – una volta di più – come il Napoli abbia un sistema difensivo efficace, a prescindere dai giocatori schierati. Anche contro la Sampdoria Ghoulam ha offerto una prestazione solida, non proprio brillante in fase offensiva ma pienamente convincente nella propria metà campo. Il fatto che un laterale difensivo sia così sicuro nelle prime due gare consecutive da titolare in questa stagione – e negli ultimi quattro anni – è un segnale evidente dell’ottimo lavoro fatto di Spalletti quando si è trattato di creare un dispositivo difensivo coerente con le caratteristiche dei giocatori in rosa. Tutto questo, in attesa di inserire Tuanzebe: un difensore che, in teoria, potrebbe permettere a Juan Jesus di “scalare” come alternativa anche sulla fascia sinistra, non solo al centro.

Evoluzione permanente/2

La buonissima prestazione universale di Petagna e la crescita di Lobotka – nell’influenza sulla squadra, nel rendimento – sono i grandi temi tattici relativi alla ripresa di Napoli-Sampdoria. Ma anche al futuro a breve/medio termine della squadra azzurra. Perché si tratta di due giocatori unici nell’organico di Spalletti, nel senso che hanno caratteristiche fisiche e tecniche diverse da tutti i loro compagni e quindi possono offrire ulteriori alternative al tecnico toscano.

Con Petagna, infatti, schierare Mertens sottopunta ha un senso completamente diverso rispetto a quando il belga viene affiancato a Osimhen. Perché l’ex attaccante della Spal sa attaccare la profondità e prova anche a farlo, ma tende a comprimere piuttosto che ad allungare costantemente gli spazi, quindi il campo da coprire per i centrali avversari. In questa condizione, Mertens ha maggiore libertà, può scegliere la zona di campo in cui spostarsi per associarsi con i compagni. Anche per questo, probabilmente, l’uscita di Insigne ha finito per giovare al sistema offensivo di Spalletti: senza concentrare troppo il gioco a sinistra, Mertens ha potuto beneficiare di spazi ancora più ampi. Non a caso, a fine partita il belga ha fatto registrare 73 palloni giocati, praticamente in tutte le zone del campo.

Tutti i palloni giocati da Mertens

Per quanto riguarda Lobotka, lo slovacco è stato eccellente sia nel ruolo di pivote unico (come nel primo tempo) sia quando ha operato da regista accanto a Demme e poi a Fabián Ruiz (come nel secondo tempo). Spalletti ha spiegato anche questo nelle interviste del postpartita: «Lobo è un giocatore fantastico. Prende per mano la squadra e detta i tempi. Spesso la dà all’indietro o lateralmente quando potrebbe girarsi e fare metri, ma perché è abituato a muoverla così. Però ha quella capacità di girarsi e spaccare in due il centrocampo avversario che lo rendono imprendibile. Se non lo vai a mordere, tocca e muove duemila palloni e così mette a posto anche i casini dell’allenatore».

In queste parole c’è tutto quel che è oggi Lobotka, ma anche quello che possono essere lui e il Napoli da qui in avanti. Perché il Napoli di possesso – in attesa del rientro di Osimhen, che inevitabilmente cambia l’atteggiamento offensivo dei suoi compagni – è una squadra retta, governata dall’ex regista del Celta. Ma, al tempo stesso, la possibile evoluzione personale dello slovacco, la sua capacità di tenere e non perdere il pallone potrebbe migliorare anche in situazione dinamica, mentre conduce il pallone puntando la difesa avversaria. A quel punto, il Napoli si ritroverebbe in rosa un centrocampista in grado di assecondare e interpretare tutte le possibili anime tattiche della squadra. Di ibridare il gioco di possesso e quello verticale, magari in un centrocampo a tre con Anguissa e Fabián o Zielinski.

Tutti i palloni giocati da Lobotka

Conclusioni

Napoli-Sampdoria ha mostrato come Spalletti abbia lavorato e stia lavorando in molteplici direzioni. Quindi, inevitabilmente, a medio-lungo termine. La difesa a due e mezzo o a tre in fase di costruzione non è una novità assoluta, ma per la prima volta il laterale (comunemente chiamato braccetto) aggiunto era uno dei due mediani che si abbassava in maniera sistematica; la coppia Mertens-Petagna era stata già schierata dal primo minuto, ma mai in una gara di campionato; Tuanzebe era all’esordio assoluto, Ghoulam fino a qualche settimana fa era considerato un ex calciatore.

Tutte queste novità aprono scenari nuovi, diversi. Dei mondi che prima della gara di ieri non si erano mai visti e forse neanche immaginati. Il fatto che il Napoli abbia risposto e stia rispondendo in questo modo a un’emergenza acuta e a una – conseguente, netta, anche fisiologica – flessione nei risultati è un grande segnale in vista della seconda parte di stagione. E anche della prossima. Perché è sempre più chiaro che l’atteggiamento nei confronti di un’assenza o una cessione – che poi non è altro che un’assenza definitiva – sarà sempre costruttivo, mai rassegnato. Ed è evidente che, col ritorno dei giocatori che mancano e/o con l’innesto di nuovi elementi, questa gestione tecnica cercherà sempre il modo di crescere, di migliorare, senza lasciare indietro nessuno. Era da tempo che auspicavamo questa rivoluzione del pensiero, all’interno del Napoli. Ora vedremo dove arriverà, ma la premesse e le promesse sembrano essere davvero interessanti.

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