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L’addio di Insigne, meglio tardi che mai. Ma due anni fa sarebbe stata una scelta progettuale

Ha deciso lui. Per il Napoli è stata una non scelta, come spesso avviene con De Laurentiis. E i tempi e i modi lasciano molto a desiderare

L’addio di Insigne, meglio tardi che mai. Ma due anni fa sarebbe stata una scelta progettuale
Napoli 28/10/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Bologna / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Lorenzo Insigne

Il Napoli senza Insigne è una gioia troppo grande per non essere celebrata. Ma anche in un momento di gaudio come questo (perfettamente esposto da Fabrizio d’Esposito), non possiamo esimerci da alcune riflessioni. Il Napoli, segnatamente Aurelio De Laurentiis, arriva a questo momento con due anni di ritardo. Di colpevole ritardo. Due anni in cui ha determinato il declino del Napoli. Resta il miglior presidente possibile a Napoli ma è impossibile concedere il perdono a un uomo che ha preferito Insigne e Gattuso a Ibrahimovic e Ancelotti. Nessuna persona minimamente ragionevole potrebbe farlo. Come scriveva e cantava Guccini, “bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”. Ecco, invece De Laurentiis ci è arrivato per contrarietà. E a scoppio ritardato se ci riferiamo al famigerato ammutinamento.

È vero che il presidente ha in qualche modo favorito l’addio di Insigne. Ma, appunto, in qualche modo. Ha soltanto spezzato un incantesimo tutto napoletano secondo cui Insigne sarebbe un calciatore attorno cui costruire una squadra. Non lo è mai stato. Né mai lo sarà. È un buon giocatore, su questo non ci piove. Ma qui stiamo parlando d’altro. E De Laurentiis gli ha comunque offerto un rinnovo che nessun altro in Europa gli ha offerto: 3,6 milioni netti a stagione. Una enormità. Per fortuna è arrivato il Toronto. Altrimenti saremmo stati ingabbiati altri cinque anni nel tiro a giro. De Laurentiis ha ottenuto il suo scopo ma potrà dire che la scelta non è stata la sua. Il decisionismo, tranne rarissime e lodevole eccezioni, non è una delle caratteristiche degli imprenditori italiani.

La gioia per l’addio di Insigne non può esimerci dal constatare che ci è parsa una riedizione della vicenda Manolas. Lì c’è stata una fuga in Grecia, qui una a Roma con una firma in un albergo adiacente a Roma Termini a due giorni da Juventus-Napoli. In una squadra vera, in una società che sa tutelare sé stessa, non può succedere. Il capitano non può andar via così. Peraltro con la prospettiva di fargli indossare la fascia altri cinque mesi. A noi sembra che sia l’ennesima dimostrazione di mancanza di senso d’appartenenza. La fascia di capitano è qualcosa di sacro. Così come la partita contro la Juventus, seppure in tempi di Covid dilagante. La forma, spesso, è anche sostanza. E qui la forma non è stata minimamente tutelata. Saranno cinque mesi difficilmente gestibili. Napoli non è Dortmund, bisogna prenderne atto.

C’è un’altra osservazione da fare in questa vicenda. A noi Insigne non piace (si era capito) ma parliamo comunque del numero 10 della Nazionale. Mancini lo ha messo al centro dell’Italia, Lorenzo ha avuto il suo ruolo nella vittoria degli Europei: secondo noi non fondamentale, ma comunque è stato titolare sempre. Ebbene il calcio italiano, non soltanto il Napoli, dovrebbe interrogarsi sulla mancanza di offerte da parte dei club che contano per il numero 10 della Nazionale. È una testimonianza, l’ennesima dell’impoverimento del nostro sistema.

Resta da dire qualcosa di Insigne. Scegliendo Toronto, è stato lui a dirimere la controversia sul suo valore. Ha fatto una scelta da ex calciatore. E l’ha fatta a trent’anni e mezzo. Un’età in cui oggi si hanno davanti almeno quattro anni ad alto livello. O non credeva nei propri mezzi, o ha un procuratore non proprio bravissimo, oppure ha le idee più chiare dei suoi estimatori sul proprio valore. O forse un po’ tutte e tre le ipotesi. Nel Napoli, soprattutto negli ultimi due anni, ha avuto un peso specifico enormemente sovrastimato. Altrimenti sarebbe stato giudicato – anche da noi – in maniera più serena: parliamo di un buon giocatore che dieci anni fa aveva lasciato immaginare vette che invece non sono state mai alla sua portata. Un buon giocatore che però non si è mai veramente messo in discussione. È voluto rimanere nella sua mattonella. E da lì spiccherà il volo per un calcio anonimo. Una fine non all’altezza, al di là dello stipendio. E lo scriviamo noi che non lo abbiamo mai ritenuto un grande calciatore.

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