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La prima Juve di Allegri non avrebbe mai subito il gol di Mertens

Analisi tattica. Il Napoli ha fatto la partita che poteva con gli uomini che aveva. Il ruolo di Ospina, la scarsa pericolosità offensiva

La prima Juve di Allegri non avrebbe mai subito il gol di Mertens
Db Torino 06/01/2022 - campionato di calcio serie A / Juventus-Napoli / foto Imago/Image Sport nella foto: esultanza gol Dries Mertens

L’unico Napoli possibile

In questo spazio, lo sapete, il Napolista manifesta la presunzione di analizzare le partite di calcio partendo dai numeri e dalle evidenze tattiche. Cercando di leggere e interpretare le scelte degli allenatori e le loro conseguenze sullo svolgimento della gara, prima ancora che sul risultato. Ecco, nel caso di Juventus-Napoli 1-1 l’analisi tattica ha un’anima diversa, e quindi anche la sua natura sarà un po’ differente. Per un semplice motivo: al di là di Petagna ed Elmas, che sono effettivamente sono subentrati nel secondo tempo, la squadra azzurra non poteva che essere questa. Quindi, poteva che giocare in questo modo. Le numerosissime assenze non hanno impedito a Spalletti di disegnare una squadra di undici giocatori nel proprio ruolo. Ma hanno tolto qualsiasi alternativa al tecnico toscano. Non solo dal punto di vista numerico, ma anche per quanto riguarda le scelte strategiche. È una conseguenza logica, ma non facilmente comprensibile.

Per dirla in maniera semplice: con Demme, Lobotka e Zielinski a centrocampo, e con i soli Politano e Insigne a disposizione come esterni offensivi puri, il Napoli non avrebbe potuto fare altro che impostare una gara di possesso. Non avrebbe potuto fare altro che attuare meccanismi di risalita armonica e tecnica del campo. Questo non vuol dire che la squadra azzurra abbia cercato solo di costruire pazientemente dal basso. Anzi, i numeri e le evidenze tattiche di Juventus-Napoli ci permettono di definire, in maniera molto chiara, il concetto di costruzione dal basso.

Il pallone calciato da Ospina finirà sul petto di Matteo Politano

In questo screen si vede la posizione del Napoli su uno dei 14 passaggi lunghi tentati da David Ospina – record tra tutti i calciatori in campo. Questo vuol dire che lo strumento del lancio da parte dell’estremo difensore è stato utilizzato in maniera sistematica. E anche efficace, se consideriamo che ben 7 passaggi lunghi, dei 14 tentati dal portiere colombiano, sono andati a buon fine. È limitato, e quindi anche limitante, pensare che la costruzione dal basso si esprima solo attraverso passaggi brevi tra portieri e difensori. Nel caso del Napoli, il continuo movimento di Mertens ad accorciare il campo è servito proprio per dare un’opzione di passaggio veloce e verticale a Ospina. Il portiere colombiano, a sua volta, possiede la qualità e la sensibilità tecnica per poter servire con precisione un giocatore anche a 30 o 35 metri di distanza.

Il Napoli ha utilizzato questo meccanismo perché era quello più adatto per i giocatori che aveva in campo. Ma anche perché la Juventus è una squadra che pratica un pressing disordinato e poco continuo. Che alza la sua intensità e la sua aggressività difensiva solo – e proprio – quando gli avversari si scambiano il pallone nella propria metà campo. E che, quando gli avversari superano la prima linea di pressione, tende a ritrarsi e a difendersi bassa. Con una costruzione dal basso più diretta, il Napoli ha quindi sfruttato a suo vantaggio le caratteristiche della Juventus. Certo, è successo raramente che un rilancio di Ospina abbia determinato un’azione offensiva diretta e ficcante e davvero pericolosa. Ma in questo modo, almeno, la squadra azzurra ha potuto controllare il possesso e quindi il gioco.

Tutti i palloni giocati da Dries Mertens

Questa è stata la differenza tra Napoli e Juventus: mentre la squadra di Spalletti ha mostrato di avere un piano per governare la gara e gli eventi, quantomeno per provare a farlo, quella di Allegri ha deciso deliberatamente di subire il controllo degli avversari. Anche questa è una scelta Spieghiamoci meglio: storicamente, non da oggi, Allegri è un allenatore che preferisce gestire le partite in chiave difensiva, piuttosto che aggredirla. Il punto è che questa strategia risulta funzionale quando hai una qualità dei singoli elevata, che ti permette di difendere in maniera efficace e di convertire in gol le poche occasioni create su iniziative personali e/o con meccanismi semplici. La Juventus di oggi, invece, è una squadra che concede oltre 10 tiri a partita – anche contro il Napoli, ieri sera, ne ha concessi 16. E che fa fatica a costruire palle gol nitide.

Questione di intensità

La scelta del Napoli di cui abbiamo parlato finora, quella relativa a un piano-partita orientato al possesso, è stata anche fatta in funzione dell’emergenza. Cioè delle assenze, ma anche dell’impossibilità di fare cambi. Tenere il possesso palla e abbassare i ritmi, addormentare il gioco, serve anche a consumare meno energie. La qualità dei singoli e le disattenzioni della difesa avversaria, poi, possono portare ad azioni come quella del gol di Mertens. Rivedendola, va apprezzata la qualità e la personalità della squadra azzurra nel palleggio, ma va anche stigmatizzata la tenuta difensiva della squadra di Allegri.

Il gol di Mertens

In questa azione, il Napoli muove il pallone con buona qualità, ma in maniera prevedibile. Il lancio di Insigne e l’inserimento di Politano sono piuttosto leggibili, l’unica variabile un po’ più complessa da interpretare è il movimento a mezzaluna di Mertens, ma per assorbirlo sarebbe bastato che i bianconeri uscissero in maniera più aggressiva. E invece Alex Sandro si fa uccellare completamente dal pallone scodellato da Insigne, mentre Rugani si perde Mertens, ovvero l’unico uomo in area di rigore, e De Ligt va a coprire – in modo maldestro, anche se qui c’entra la deviazione di Szczesny – la linea di porta. La Juventus, in pratica, ha subito gol con otto giocatori bassi nella propria trequarti campo, tutti dietro la linea del pallone nel momento in cui Insigne serve Politano. La prima Juventus di Allegri non avrebbe mai incassato una rete di questo tipo.

Insomma, al Napoli non è servito nemmeno alzare l’intensità del proprio possesso, quindi del proprio gioco, per segnare il gol del vantaggio. Questa evidenza, così come il dato dei tiri concessi dalla Juventus nel primo tempo (11, di cui 2 in porta e 3 dall’interno dell’area), sottolinea però i grandi demeriti dei padroni di casa. La squadra di Allegri, dopo un inizio abbastanza aggressivo, è diventata via via sempre più passiva. Sono i numeri a dirlo: 5 degli 11 tiri tentati dai bianconeri sono arrivati nel primo quarto d’ora di gara; tra il 16esimo e il 40esimo minuto, le conclusioni di Chiesa e di Cuadrado sono state le uniche provate dai padroni di casa, e sono arrivate entrambe nell’arco di circa tre minuti.

Il gol di Chiesa

Anche il gol del pareggio segnato da Chiesa, se possibile, mostra come alla Juventus sarebbe bastato alzare un po’ l’intensità del proprio gioco per mettere in difficoltà il Napoli. La squadra di Spalletti, proprio per le sue caratteristiche genetiche e per il piano-partita preparato e attuato allo Stadium, si è fatta sorprendere da un pallone in verticale su inserimento profondissimo di McKennie nello spazio tra Ghoulam e Juan Jesus. Non sfugga che quella zona, di solito, è occupata da Koulibaly. Quindi da un difensore che, in circostanze del genere, cioè sul lungo, è praticamente insuperabile. Con Juan Jesus la cosa cambia, e infatti McKennie ha potuto crossare al centro in maniera piuttosto comoda. Il rinvio ha trovato Chiesa a rimorchio, che a sua volta è stato bravo nel concludere subito e fortunato nel trovare la deviazione di Lobotka.

Come viene sottolineato spesso in questa rubrica, ciò che fa la differenza nel calcio moderno è l’intensità. Non solo nella pura corsa, ma anche – se non soprattutto – nella tattica e nella tecnica. Le partite vengono decise dai e nei momenti in cui la velocità e/o la sofisticatezza delle giocate va oltre la media. Il fatto che la Juventus abbia segnato solo nel momento in cui ha aggredito il Napoli con un’azione diretta, ma soprattutto il fatto che, per il Napoli, non sia stato necessario fare la stessa cosa per trovare il gol, dimostrano come il progetto di Spalletti sia più avanti rispetto a quello di Allegri. In questo senso, anche la classifica non mente.

I problemi del Napoli

Tutto questo non deve cancellare le criticità che esistono, eccome, nel Napoli. Al netto dell’impossibilità di tenere i ritmi alti – assenza di cambi – e, come detto, di applicare un’altra strategia che non fosse il possesso palla, la squadra di Spalletti ha effettivamente governato la partita e tenuto il campo con personalità, ma ha prodotto davvero poco in fase offensiva per poter meritare davvero la vittoria. Basti pensare che solo un quarto della pur buona quantità di conclusioni scagliate verso la porta di Szczesny (16) sono finite nello specchio. Di queste, 3 sono state tentate da firma Dries Mertens.

Servire Politano e/o DI Lorenzo, con distanze così ampie, sarebbe difficile per chiunque. Anche per un calciatore dal piede educato e sensibile come Insigne.

Il problema offensivo manifestato dal Napoli a Torino, come si vede chiaramente in questo screen, è stata l’eccessiva ampiezza sul campo da gioco. Anche i dati della Lega confermano che, tra le due squadre scese in campo ieri allo Stadium, quella di Spalletti è stata quella con la maggior larghezza media (32 metri nel primo tempo e addirittura 38 nella ripresa). Ovviamente questo è dovuto alle caratteristiche dei giocatori schierati in campo: Insigne e Politano sono due esterni che amano ricevere il pallone quando sono molto vicini alla linea laterale, così da poter rientrare in campo sul piede forte.

Questo meccanismo può diventare utile quando i terzini in sovrapposizione e la mezzala di parte di un 4-3-3 (oppure il sottopunta del 4-2-3-1) si propongono continuamente per creare dei triangoli di possesso che permettono di superare la pressione avversaria. Contro la Juventus, però, la prestazione non proprio esaltante di Zielinski e la scarsa propensione offensiva di Di Lorenzo e (soprattutto) Ghoulam hanno reso prevedibile il gioco sulle fasce. Non a caso, il gol di Mertens è nato da un movimento a convergere di Insigne molto più profondo: il capitano del Napoli ha servito Politano quando era praticamente arrivato al centro del campo, e non dalla sua zolla preferita.

In alto, tutti i palloni giocati da Politano; sopra, tutti quelli giocati da Insigne. Inutile aggiungere che il Napoli, in questi screen, attacca da destra verso sinistra.

La presenza (o un inserimento meno tardivo) di Petagna, forse, avrebbe dato un po’ di senso in più a un gioco così inevitabilmente sbilanciato in ampiezza (il 76% delle azioni del Napoli, quindi più di tre su quattro, sono nate sulle due corsie). Come detto, però, la necessità di schierare Insigne e Politano era inderogabile, e quella di utilizzare Mertens come centravanti è stata funzionale a un piano partita impostato sul possesso palla. Purtroppo per Spalletti, in questo caso le assenze hanno determinato una scarsità di alternative cui era impossibile porre rimedio.

Conclusioni

In virtù di tutto questo, il pareggio colto a Torino (dove il Napoli non faceva punti dall’aprile 2018) e le sensazioni percepite nel corso della partita devono essere accolti con serenità. E con ottimismo. Per un motivo molto semplice: la squadra di Spalletti aveva un piano partita giusto – relativamente ai giocatori disponibili, ai pregi e difetti degli avversari. E l’ha interpretato bene. Insomma, si è rivisto proprio ciò che era mancato nella gara interna contro lo Spezia: le intuizioni di Spalletti, e un lavoro di preparazione atto a far valere questo vantaggio strategico. Il fatto che tutto questo si sia manifestato nel pieno di un’emergenza vera – tra assenze “canoniche”, focolaio Covid e calciatori convocati per la Coppa d’Africa il Napoli è andato a Torino senza otto elementi della prima squadra – è un segnale davvero positivo.

È evidente che questa squadra, e colui/coloro che la allena/allenano, hanno un’anima mutevole. E gli strumenti e la consapevolezza che servono per trasformarsi nel modo giusto. Certo, esiste sempre il rischio di sbagliare le scelte strategiche e di cannare la prestazione, come avvenuto contro Spezia ed Empoli. Paradossalmente, però, le gare in trasferta contro Milan e Juve – le più complesse, almeno in teoria – hanno mostrato il lato migliore di questa natura. In attesa del rientro degli assenti il dato più significativo è quello della fase difensiva: nelle ultime quattro partite di campionato, il Napoli ha vinto una sola volta eppure ha subito solo tre gol. Due di questi sono arrivati su calcio piazzato. Quello realizzato ieri da Chiesa è l’unico su azione.

È evidente, insomma che la squadra di Spalletti sia riuscita a trovare una buona quadra difensiva nonostante le assenze. E che il ritorno di quei giocatori che possono sparigliare le carte in tavola in fase offensiva, Osimhen e Fabián Ruiz su tutti, ci darà l’esatta dimensione dell’ambizione degli azzurri fino al termine della stagione. Perché è da qui che passa la crescita, e quindi il futuro, della squadra di Spalletti.

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