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Verstappen come Agassi: «Costruito a tavolino da Papà Jos per essere un campione di Formula 1»

Il racconto di Jos Verstappen alla BBC: “Lo prendevo col furgone a scuola il venerdì, lo portavo a correre in Italia, e lo riportavo direttamente a scuola il lunedì mattina. 3000 km ogni weekend”

Verstappen come Agassi: «Costruito a tavolino da Papà Jos per essere un campione di Formula 1»
Monza 12/09/2021 - gara F1 / foto Imago/Image Sport nella foto: Max Verstappen-Lewis Hamilton

Il padre di Max Verstappen è Jos, un paio di podi in Formula 1 prima di investire la sua vita su quella del figlio. In una lunga intervista alla BBC parla di come Max è arrivato a giocarsi il Mondiale di Formula 1 all’ultima gara, appaiato in classifica con Lewis Hamilton. E di lui, nello stesso articolo, parla così Frits van Amersfoort, proprietario della scuderia olandese che ha lanciato Max in Formula 3 nel 2014: “Insieme Jos e Sophie hanno costruito un bambino che aveva i geni giusti. Max è stato programmato per essere un pilota da corsa. Andre Agassi è stato costruito da suo padre come un robot da tennis. Jos era così. Ha preparato e programmato suo figlio per essere il miglior pilota da corsa del mondo. Un Verstappen non può perdere. Non possono sopportare il fatto che hanno perso”.

“Quando aveva nove o dieci anni, in inverno, da novembre in poi – racconta papà Verstappen – ogni fine settimana andavamo in Italia dopo la scuola. La scuola finiva alle 14:30. Lo aspettavo nel furgone. Passavamo due giorni in circuito e poi la domenica pomeriggio intorno alle 17 tornavamo indietro. Circa 1.250 km a viaggio. La mattina lo lasciavo direttamente a scuola. L’Italia è dove c’è tutta la competizione, dove ci sono tutte le fabbriche, e volevo che imparasse tutte le piste e volevo vedere dove eravamo in termini di velocità, in termini di motore, telaio e cose del genere. Gli piaceva molto. Noi due nel furgone che andavamo lì. Dormiva tutto il tempo”.

Il racconto dell’infanzia di Verstappen è effettivamente da “Open”:

“Andavamo in circuito anche quando pioveva, non ci importava. Anche quando c’erano meno due gradi. Dopo cinque giri aveva le mani congelate. Si riscaldava nel furgone cinque minuti e lo tiravo fuori. Non è stato sempre piacevole per lui”.

Il piccolo Max a 4 anni aveva un quad.

“Il secondo o il terzo giorno che lo aveva avuto andava su due ruote, ed è andato a sbattere contro il muro. Per fortuna indossava un casco. Ma non gli importava. Guidava sempre. Aveva un feeling con il motore. Non importava se fosse un quad, una jeep elettrica – sai, le piccole macchine per bambini – o altro. Era sempre lì a guidare”.

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