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Nel nuovo Napoli Petagna funziona più di Mertens

Con Spalletti la squadra ha definitivamente cambiato pelle e la partita di Salerno lo ha confermato. Le gerarchie emotive non reggono più

Nel nuovo Napoli Petagna funziona più di Mertens
Db Genova 29/08/2021 - campionato di calcio serie A / Genoa-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Andrea Petagna-Luciano Spalletti

Quanto contano i giocatori

Nel calcio moderno, la figura dell’allenatore è molto sopravvalutata. Si tende a pensare, piuttosto erroneamente, che quegli omini che si agitano davanti alle panchine siano i responsabili di tutto quello che accade in campo. Nel caso del Napoli, di quello che è stato un vero e proprio passaggio di stato tra Gattuso e Spalletti, è evidente il contrario: l’ex allenatore di Roma e Inter ha rivoltato gli azzurri come un calzino, gli ha dato un’anima nuova, una consapevolezza diversa, ha aumentato il loro spessore tecnico ed emotivo. Si è visto anche a Salerno. La gara dell’Arechi, però, ha evidenziato anche che, molto più di ogni altro fattore, sono i giocatori – la loro presenza, la loro assenza, la loro condizione fisica e mentale – a determinare l’essenza di di una squadra. Il suo sistema tattico.

Per capire cosa intendiamo, iniziamo dall’indice di verticalità. Si tratta di un dato statistico un po’ aleatorio, inserito per la prima volta quest’anno dalla Lega Serie A nei suoi report delle partite. In sostanza, si tratta del numero di giocatori avversari superati da un passaggio verticale. Viene calcolato solo se il passaggio è andato a buon fine, e dà l’idea di quanto un giocatore tenda a superare le linee di pressione avversarie. Bene, nel Napoli visto a Salerno il giocatore numero uno in questa particolare graduatoria è Andrea Petagna. Che ha giocato solo un terzo della gara. Che è stato decisivo nell’azione del gol – una delle poche occasioni pericolose costruite dal Napoli. E che, col suo ingresso, ha mostrato come e quanto il Napoli di oggi abbia bisogno di uomini e meccanismi diversi rispetto al passato.

Dries Mertens

Perché abbiamo iniziato questa analisi tattica parlando dell’importanza dei giocatori – rispetto agli allenatori – e di Petagna? Perché il Napoli ha trovato il vantaggio solo quando l’ex attaccante della Spal è entrato al posto di Dries Mertens. E perché la squadra di Spalletti ha giocato la sua peggior partita offensiva fin quando il belga è stato l’attaccante centrale dell’ormai consolidato 4-3-3/4-2-3-1 in fase offensiva ormai adottato dal tecnico toscano come sistema fisso. I numeri non mentono: fino al 60esimo minuto, il Napoli ha tentato la conclusione per 9 volte; 3 di questi tentativi sono stati respinti dai difensori avversari. Dei 6 tiri rimasti, nessuno è entrato nello specchio della porta di Belec. Scorporando ancora il dato delle conclusioni, scopriamo che le uniche dall’interno dell’area sono arrivate al sesto, al nono e al 34esimo minuto. La terza, tra l’altro, con un colpo di testa di Anguissa su azione d’angolo.

Tutto questo per dire che il Napoli di Mertens, con Mertens, è una squadra che – stando a quanto visto a Salerno, ma anche in occasione di Napoli-Legia Varsavia – cambia completamente. Che cambia in peggio. Che non riesce a essere pericolosa nonostante si schieri con le stesse spaziature utilizzate quando c’è Osimhen. Certo, su questa mancanza di pericolosità hanno pesato anche l’assenza di Insigne e la difesa serrata della Salernitana, una squadra composta da diversi calciatori di grande impatto atletico. Il vero problema, però, sta nel fatto che Dries è sempre stato – e ovviamente è ancora – un attaccante dal fisico e dal profilo particolare, che necessita di una squadra che lo supporti in un certo modo.

In alto, il Napoli imposta col 4-2-3-1 e Mertens è su una linea più arretrata rispetto ai due esterni offensivi; sopra, invece, Politano attacca sulla fascia mentre il belga è schiacciato tra i centrali vavversari.

L’ha spiegato anche Spalletti nel postpartita: con Mertens in campo, il Napoli «non è riuscito a essere pericoloso col gioco stretto e palla a terra che avevamo preparato». Insomma, anche Spalletti sapeva – e sa – che la sua squadra non ha bisogno di Osimhen – o di un altro attaccante dal fisico prestante e/o abile ad attaccare la profondità – per motivi ideologici o di pura superiorità tecnica. Il Napoli di oggi è una squadra che parla un’altra lingua, che muove il pallone in modo diverso rispetto al passato. Che, semplicemente, si fonda su altri calciatori e quindi su altri principi di gioco – da qui il discorso sull’importanza dei giocatori.

Come detto, poi, ci si è messa anche la Salernitana. Negli screen di sopra, si percepisce chiaramente la volontà, da parte della squadra di Colantuono, di ingolfare la zona centrale – del campo e dell’area di rigore – e di costringere gli avversari a muovere il pallone sulle fasce. Anche in questo caso i numeri sono eloquenti: secondo le rilevazioni di Whoscored, il Napoli ha costruito 3 azioni su 4 (il 75%) sulle due corsie. Le catene Di Lorenzo-Politano e Mário Rui-Lozano, assistite ovviamente – a turno – dalle mezzali e da Fabián Ruiz, sono riuscite a produrre 7 cross dagli esterni fino al minuto 60′. Tutti tentativi inutili, considerando che al centro dell’area Mertens, Lozano e Politano (tutti sotto i 175 centimetri) hanno dovuto affrontare Strandberg (189 centimetri), Gyomber (189 centimetri), e Ranieri (187 centimetri).

Insomma, il Napoli si è consegnato tatticamente alla Salernitana. Ha giocato in un modo semplicissimo da difendere, soprattutto per una squadra che, per caratteristiche fisiche, ama rimanere compatta e bassa nella propria area di rigore. E che, quindi, ha potuto chiudere in maniera efficace su un avversario che ha dimostrato di non possedere gli strumenti per armare Mertens, considerando anche la partita piuttosto evanescente di Lozano, la prestazione anonima di Zielinski, la prova poco più che generosa di Politano.

In alto, tutti i palloni giocati da Mertens; sopra, invece, tutti quelli toccati da Petagna. Le diverse preferenze e la diversa mobilità sono evidenti.

Con Petagna, invece, è cambiato tutto in pochi istanti. Per capire in che modo, basta guardare la mappa dei suoi palloni giocati e confrontarla con quella di Mertens – sono appena sopra. Oltre alla differente geografia, va considerato anche il modo di servire un attaccante come Petagna, la sua disponibilità a ricevere passaggi di natura diversa, in diverse zone del campo. Non è un caso che, pur avendo giocato esattamente la metà del tempo rispetto a Mertens, l’ex attaccante della Spal abbia toccato 20 volte la palla mentre il belga abbia raggiunto una quota appena superiore (24).

In realtà Petagna è un attaccante diverso anche rispetto a Osimhen. Come si vede dal grafico in alto, tende ad accorciare, a venirsi a prendere il pallone in basso, piuttosto che ad aggredire costantemente la profondità. Nell’azione del gol, che vi riproponiamo sotto, la sua prima giocata è molto più alla Mertens che alla Osimhen; il tocco che riapre il campo a Elmas non sarà proprio pregiatissimo ed elegante ma è ben dosato, intelligente, efficace. Poi Petagna va a riempire l’area, è decisivo di testa, crea scompiglio, determina l’azione col fisico dopo averlo fatto con la tecnica. Tutte cose che Mertens non può fare. Tutte cose che servono di più a questo nuovo Napoli.

Il gol di Zielinski

I cambi di Spalletti

Con Petagna e con Elmas, Spalletti ha dato subito una scossa al suo Napoli. L’ha reso più vicino a ciò che serve ora a Fabián Ruiz, Anguissa e tutti gli altri per avere uno sfogo offensivo. Il punto, chiaramente, non è Mertens: come detto, anche Lozano ha disputato una partita tutt’altro che memorabile. Il punto è che ogni calciatore, persino Messi, ha bisogno di un contesto funzionale perché possa emergere, dare il meglio di sé. Nel caso di Mertens, a mancare sono state le connessioni necessarie perché potesse incidere, dei compagni in grado di assecondarne i movimenti, più che una condizione fisica adeguata. Nel caso di Lozano, l’assenza di verticalità causata dall’impostazione iniziale e la scelta di farlo giocare a sinistra, cioè a piede invertito, gli hanno tolto la possibilità di essere diretto, immediato, nelle scelte palla al piede come nei movimenti.

Insomma, è ingiusto buttare la croce addosso a Mertens o a Lozano-esterno-sinistro-d’attacco. Non è “colpa loro”, è che semplicemente oggi il Napoli ha bisogno di altro. Di Petagna, come detto. Ma anche di Elmas, più abituato al ruolo di esterno sinistro a piede invertito rispetto al messicano: si vede nell’azione del gol, quando comprende che è necessario associarsi a destra per poter supportare i compagni; si è visto fino al termine della gara, un segmento di gioco in cui è stato sempre presente (2 dribbling riusciti, un fallo subito, 10 passaggi riusciti su 11) e anche pericoloso (4 palloni giocati nell’area della Salernitana, 2 conclusioni tentate, di cui una finita nello specchio della porta).

Il tiro in porta di Elmas al termine di una bella azione personale

Il Napoli, ormai è evidente, ha sempre più giocatori che chiedono di praticare un calcio meno improntato al passing game, se non addirittura verticale. Lo stesso Fabián Ruiz, autore dell’ennesima prova positiva (anche se meno scintillante rispetto alle prestazioni dell’ultimo periodo), ha servito ben 12 passaggi lunghi sui 69 tentati. Insomma, è un regista diverso – più mobile, più vario nel suo gioco e nel modo di spostare il pallone – rispetto a Jorginho, per esempio.

Non a caso, viene da dire, anche a Salerno la costruzione della manovra è stata affidata anche ad Anguissa (90 palloni giocati contro gli 82 dello spagnolo) e soprattutto a Di Lorenzo (104 palloni giocati, quota record tra tutti i calciatori in campo), che con il centrocampista camerunese compone un asse di gioco ormai consolidato – anche perché Anguissa ha l’intelligenza e la forza necessaria per capire quando allargarsi per impostare, e lasciare spazio sulla fascia a Di Lorenzo, senza sguarnire il centrocampo.

Uno dei tanti momenti della gara in cui Anguissa si è aperto a destra per impostare il gioco.

In virtù di tutto questo, i cambi effettuati a Salerno un attimo prima del gol – Elmas per Lozano e Petagna per Mertens – hanno riportato il Napoli nella sua contemporaneità. Spalletti ha a disposizione la stessa rosa di Gattuso e possiede maggiore certamente esperienza per poterla guidare, per poterne fare una squadra mutevole. Ma non è un mago, o un creatore di realtà alternative. Ha effettivamente provato e sta provando a costruire anche un Napoli in grado di dominare le partite ed essere pericoloso col possesso palla, con tre attaccanti brevilinei e molto tecnici. Ma non è un’impresa facile, almeno in questo momento. Perché Mertens non ha ancora ritrovato una condizione accettabile, perché c’è bisogno di Insigne – anzi: del miglior Insigne – perché questa idea possa funzionare, perché gli altri calciatori sono più adatti ad altri stili.

Non a caso, viene da dire, un Napoli dichiaratamente votato al passing game non è riuscito a segnare un gol contro la Salernitana. Anzi, il vero problema è che questo vecchio Napoli non è riuscito a essere pericoloso contro una squadra contro la Salernitana. Il solo gol degli azzurri, segnato per altro subito dopo il passaggio a un’altra strategia, non ha permesso agli uomini di Spalletti di gestire comodamente una partita contro una squadra poco più che mediocre. Che non ha manifestato altro schema se non il “dare la palla a Ribery e vediamo che succede”. Che, prima dell’espulsione di Koulibaly (un episodio che può sempre capitare nell’arco di una partita) al 76esimo minuto, aveva accumulato appena 8 palloni giocati nell’area di rigore. E che, dopo essere tornata in parità numerica, ha tirato solo per 3 volte verso la porta di Ospina, solo ed esclusivamente da calcio piazzato.

Conclusioni

Il Napoli non ha vinto una partita sporca. O meglio: ha vinto una partita che, come ha detto Spalletti, si è sporcata solo dopo l’espulsione di Koulibaly. Ha vinto, però, una partita preparata secondo un’impostazione che funziona molto meno rispetto al passato. Perché i calciatori che sostengono e rappresentano quell’impostazione funzionano molto meno rispetto al passato. Non che il tecnico toscano avesse molte alternative, viste le assenze e forse anche le gerarchie emotive che resistono nell’organico del Napoli. Del resto, lo abbiamo detto più volte in questa rubrica, l’organico azzurro è ibrido, privo di un’identità profonda e radicata. Quindi è giusto – anzi: l’abbiamo sempre auspicato – che l’allenatore faccia proprio questo, cioè alterni e sperimenti il più possibile per trovare ogni volta la formula necessaria per vincere le partite.

Il grande inizio di campionato e l’ambizione – ormai chiara – di competere per il titolo hanno fatto dimenticare che il progetto-Spalletti è appena iniziato. Che una partita come quella di Salerno, impostata e giocata male, può servire a delineare il Napoli che verrà. A capire quale strada sarà necessario prendere. In questo senso, la direzione sembra piuttosto definita: il Napoli di oggi è una squadra profonda e multiforme, ma sempre più lontana dal suo passato, dal calcio di possesso monolitico, dagli attaccanti compatti e dalle combinazioni palla a terra. Non c’è nulla di male o niente per cui o di cui essere nostalgici, semplicemente è il tempo che passa. Spalletti lo sa benissimo e ha iniziato a lavorare in questo senso, per questa transizione, fin dal primo giorno a Napoli.

Il fatto che gli azzurri abbiano vinto a Salerno ha un valore enorme, per la classifica del presente ma anche – se non soprattutto – per la costruzione della squadra del futuro. Immediato e a lungo termine. Le indicazioni sulla solidità della difesa (3 gol subiti in campionato, ottavo clean sheet su 11 partite) e sulle inclinazioni ormai evidenti sulle preferenze in fase offensiva indicano che il Napoli di Spalletti ha già una sua anima. Molto riconoscibile, molto forte, molto competitiva. Diversa da quella del Napoli del passato. Finalmente, viene da dire.

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