Su El Pais: “Oggi è tutto posizionale, faccio superiorità numerica qua, là. E il talento? Il grande Barca ha alimentato l’ego dei tecnici. Ma perché costruire da dietro e se posso arrivare a centrocampo… in aria?”

Diego Pablo Simeone suo padre Carlos non lo chiama “papà” e nemmeno per nome, “Carlos”. Lo chiama “Simeone”. E la mamma, Nélida, non è “mamma”, è “González”. Il Cholo è così, fin dall’educazione familiare. E’ granitico, ma non lo è. Parla senza parlare. E i giocatori lo capiscono soprattutto per gli sguardi, i modi.
Simeone ha parlato di sé e del Cholismo in una lunga conversazione con Vicente Del Bosque per El Pais. E ha parlato anche della sua visione del calcio, non-ideologica. Per certi versi sembra di riascoltare alcuni passaggi di Allegri. Ad esempio quando parlano di Lemar, e della fantasia che deve trovare spazio, perché rompe il gioco.
“Non sai quante persone mi hanno detto di non metterlo, di metterne un altro. Ha cose diverse dagli altri. Va avanti, dribbla. Ha qualcosa che pochi hanno. Oggi non si dribbla più. Oggi è tutto posizionale, faccio superiorità numerica qua, là. E il talento? E l’individuo? E il palleggio? E liberarsi di un uomo rompendo l’intera struttura? Chi ce l’ha? Lemar, João, Correa, pochi”.
Simeone dice di essere un grande ascoltatore.
“Ascolto molto. Non è affatto da deboli. Mi apro sempre per ascoltare i loro bisogni, per ascoltare ciò che vedono, ma poi decido. Perché non sono uno sciocco. Posso essere un pessimo allenatore, ma non sono certo uno sciocco e cerco la strada che mi porti più veloce a vincere. Bielsa, che era molto strutturato, i cui movimenti erano altamente meccanizzati, diceva che il suo più grande orgoglio è che il giocatore è entrato in campo e ha fatto qualcosa che ha deciso da solo. La meccanizzazione genera uno stimolo a ripetere le cose ed è lì che deve apparire l’altro ‘te’ e aggiungerlo al lavoro degli allenatori”.
Il capitano è un ruolo a sé. Capitano non è “anziano”.
“Mi è sempre piaciuto scegliere il capitano. Non ho mai condiviso che chi sia stato al club per più tempo deve esserlo. Esserci da molti anni non significa che sei tu a guidare il gruppo o a difenderlo. Il gruppo deve essere rappresentato da qualcuno che abbia un senso di appartenenza alla squadra. E se è una leadership multipla e possono coesistere tra loro, molto meglio”.
Simeone difende l’egoismo dell’allenatore:
“E’ vero che non ho impegni con nessuno. Nel momento in cui inizia la partita, sono in gioco anche gli allenatori e il risultato influenzerà l’allenatore più di chiunque altro. Ecco perché dobbiamo perseguire ciò che vogliamo. Un giorno farà più male a uno, farà più male all’altro. Non parlerò ogni giorno con i giocatori per dire loro perché giocano o perché non giocano. È qualcosa di molto difficile da spiegare”.
“Li vedo arrivare e so come stanno. So se hanno dormito bene, se sono arrabbiati, se sono felici. I corpi parlano, li vedi e loro parlano. I gesti, il modo di stare in piedi, il modo di ascoltarti, il modo di annuire quando parli con loro. Guardarti, non guardarti”
Del Bosque non può nascondere che non gli piace la moda della costruzione da dietro: “Sembra che se non la usi fai qualcosa di male contro il calcio”. Simeone è d’accordo:
“Assolutamente. La migliore Spagna e il miglior Barça hanno alimentato l’ego degli allenatori, il sogno di avere tutti Piqué, Busquets, Xavi, Iniesta… Ha dettato l’idea di iniziare il gioco da una situazione che non è assolutamente sicura. Se ho giocatori che non hanno quelle caratteristiche, non lo faccio. Scusate signori, buttiamo la palla a centrocampo e ci ritroveremo nello stesso punto che si raggiunge quando si inizia a giocare da dietro solo che lo facciamo… volando”.
“Anche la difesa è un’arte. Se lascio il mio campo al gioco dell’avversario lo sto attirando, è un modo per creare spazi per a noi. È difensivo iniziare a giocare da dietro o è offensivo? Dipende da come vuoi leggerlo”