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L’Equipe racconta Tapie: una vita vissuta al galoppo come un ussaro

Incarnò gli anni Novanta. Visse sulle montagne russe. Col Marsiglia la Champions e la condanna per corruzione che portò il club in B. Finì in carcere. «L’uomo che voleva diventare re»

L’Equipe racconta Tapie: una vita vissuta al galoppo come un ussaro

La morte di Bernard Tapie è ovviamente la prima notizia sui giornali francesi. Il quotidiano sportivo L’Equipe nell’edizione on line gli dedica la copertina col titolo: «Una vita in chiaroscuro».

Ha vissuto una vita come nessun’altra. (…) Questa vita era la storia di un uomo che voleva diventare re. Nessuno ha dimenticato la data dell’incoronazione e la data della sua caduta è stata quasi la stessa: il maggio 1993. (…) Era la principale figura mediatica della Francia, all’altezza di una vita romanzesca attraversata al galoppo come un ussaro, così ha trovato tutto quel che cercava: la luce e la fortuna, il potere e i guai.

L’Equipe, in un articolo straordinario a firma Vincent Duluc, scrive che non si sa fino a che punto quei tempi avessero modellato o lui avesse contribuito a rendere così affascinante la sua epoca.

Aveva una corte, i modi di un monarca, ma era sempre lui che lusingava, lui che prometteva.

L’Equipe ricorda il suo passato nel ciclismo, con La Vie Clair vinse il Tour nel 1985 con Hinault e nell’86 con LeMond. E come il calcio allora fosse un ambiente arcaico refrattario alla cultura aziendale.

Ma Tapie era un’altra cosa, non era un imprenditore, la sua cifra era di natura diversa, a volte velenosa, la Francia mormorava sulla catena dei suoi acquisti aziendali, lo smantellamento e le vendite che gli attiravano l’accusa di essere un giocatore di domino. Non aveva costruito altro che la propria ricchezza.

Nella costruzione del Marsiglia fu scortato da Hidalgo che però, ricorda il giornale, non ebbe mai un vero e proprio incarico, un ruolo ufficiale.

L’Equipe ricorda le ombre. Le accuse di doping, i succhi d’arancia adulterati che fecero addormentare all’intervallo i giocatori del Rennes, l’allora allenatore del Monaco Arsène Wenger che confidò di aver avuto la sensazione di aver giocato alcune partite contro il Marsiglia come se fossero nove contro tredici.

Il caso che portò al suo declino calcistico fu Valenciennes-Marsiglia del 20 maggio 93. Tre giorni prima della finale di Champions vinta contro il Milan. In quei quattro giorni c’è il punto più alto e il più basso della vita di Tapie.

Le accuse di un giocatore del Valenciennes: Jacques Glassmann che nel 95 ricevette il premio Fair Play dalla Fifa per la sua onestà. Ancora oggi, ricorda il calciatore, incontra per strada qualcuno che lo insulta. Scrive L’Equipe:

Alla fine sarebbe emerso tutto, anche i contanti dal terreno di un giardino. È stato questo caso che ha provocato la sua rovina. Il Marsiglia finì in Serie B e fu costretto a cedere i giocatori migliori. Lui fu allontanato dal club, finì in prigione per “corruzione e subornazione di testimoni”, poi condannato per “falso e violazione della fiducia e proprietà del club”. Fu condannato a due anni di carcere. Poi, ci fu l’interminabile battaglia giudiziaria con Crédit Lyonnais sulla rivendita di Adidas, i 404 milioni, le accuse di truffa e appropriazione indebita di fondi pubblici.

Quando nel 2000, spinto dalla nostalgia e dall’immobilismo, voleva tornare al Marsiglia, era già troppo tardi. Era lui a essere diventato l’uomo di un altro tempo. Sii era inserito nell’intervallo esatto tra il paternalismo e l’avvento degli imprenditori, ma ora incarnava una terza via che lo avrebbe lasciato ai margini.

Fondamentalmente – scrive L’Equipe – le sue vittorie furono belle e gloriose, ma brevi, come se avesse scelto una vita sulle montagne russe per essere sicuro di salire molto in alto e non annoiarsi mai anche durante la discesa. Era diventato attore, ufficialmente questa volta, Lelouch e TF1, teatro e commissario Valence, veniva chiamato per dibattiti sul calcio o sulla politica. (…) È rimasto l’uomo di un’epoca, fino alla fine circondato dal ricordo della sua leggenda, e, al crepuscolo, da un moto di affetto popolare che equivaleva a un perdono.

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