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Messi non è un leader politico come Maradona, è un figlio patinato del suo tempo

Ha vinto e ha segnato infinitamente più di Diego ma è un prodotto di questo calcio e il Psg è la sua destinazione naturale

Messi non è un leader politico come Maradona, è un figlio patinato del suo tempo
Db Johannesburg (Sud Africa) 17/06/2010 - mondiali Sud Africa 2010 / Argentina-Corea del Sud / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Diego Armando Maradona-Lionel Messi

La notizia, manco a dirlo, fa rumore. Lionel Messi, dopo ventun anni, non rinnova il contratto col Barcellona. Fa tanto rumore pure se non è esattamente un fulmine a ciel sereno, non tanto per gli screzi che la Pulce ha avuto con parte del board del club nella passata stagione quanto per la bonaccia di calciomercato che avvolge l’Europa e che riguarda le società più importanti del mondo. Che Messi potesse non rinnovare (e che Lukaku, dopo Donnarumma, potesse partire) era parso prevedibile: la pandemia ha prosciugato le casse pure al calcio dei paperoni ed escluso il Psg (la cosa è stata spesso approfondita) e qualche club di Premier nessuno naviga in acque serene e tranquille. Il goffo tentativo della Super League esprimeva chiaramente queste difficoltà. C’era un calcio pre-pandemico, ce n’è uno – già profondamente diverso – oggi.

La premessa è doverosa, anche se l’obiettivo di queste poche righe non è addentrarsi nelle pieghe dell’economia pandemica e post pandemica. Ch’è argomento interessantissimo che merita ulteriori riflessioni.

Dal punto di vista prettamente sportivo, la partenza di Messi ha sconvolto gli appassionati. E potrebbe pure finire col togliere un noto argomento ai detrattori dell’argentino, che hanno più volte sottolineato quanto il club catalano rappresentasse per lui una sorta di comfort zone. Casa sua (da sempre), i suoi tifosi, un’idea di calcio costruita a pennello sul suo genio e sulle sue caratteristiche e, finché è stato così, le magie di Xavi e Iniesta a fargli da supporto. Persino il suo rivalissimo Cristiano Ronaldo di fatti ha più volte pungolato Leo su questo tema, invitandolo a confrontarsi (come lui) con campionati diversi ed in realtà diverse.

Dalle nostre parti poi s’è levato un coro sognante, un invito che ovviamente resterà tale: “se vuoi diventare come Lui, se vuoi onorare la Sua memoria – scrive, tra gli altri, il noto attore Salvatore Esposito – sai già quel che devi fare”. 

La verità è che son tante, a scavare nella vox populi, le presunte ragioni di cui s’avvale chi si mette in cerca d’argomenti per affermare la superiorità di Maradona rispetto a Messi. C’è chi parla del tema sollevato dal professor Trombetti (e cioè quello del grandissimo ma finora solo tra i grandissimi) e chi invece punta il suo personalissimo penny sulle tante occasioni che Messi ha mancato con la Nazionale, con cui ha vinto solo recentemente la prima Copa America, dominando in lungo e in largo il torneo meno che per una fiacca prestazione nella finale decisa dal delizioso lob di Di Maria.

Ma il punto è che non è una Copa America in più o in meno o finanche un Mondiale – così come non sarebbe l’arrivo di Messi in una squadra di calciatori “normali” – a ridefinire la linea di confine che ancora insiste tra quello che è forse il più grande calciatore della storia e tutto quello che al di là d’ogni retorica ha rappresentato e rappresenta Diego Maradona per l’Argentina e per il mondo. Che è qualcosa che più che con il calcio sic et simpliciter ha a che fare col mito, con l’epica, col rock ‘n roll.

Si fa un’enorme fatica a cercare nel solo calcio – che è fatto di goal, di trofei, di numeri, di statistiche – una qualche ragione per cui Messi non debba essere considerato il più forte di sempre. Ha vinto tutto o quasi, a livello individuale e collettivo. Ha vinto e ha segnato – certo, in un altro calcio – infinitamente più di Diego.

E quindi non avrebbe alcun senso rincorrerlo. Non avrebbe senso tentare di scimmiottarne la carriera scegliendo una piazza unconventional come si trovò a fare Maradona. Non avrebbe senso aspettare di vincere un Mondiale per dover in qualche modo “certificare” un sorpasso che probabilmente – limitandosi al campo – è già avvenuto, e forse da un pezzo, ma che nel rapporto con la storia e con le sue trame rischierebbe comunque di non arrivare mai.

Maradona è stato un grande leader politico. Visceralmente detestato, come tutti i leader politici. Diventato, col suo modo divino di giocare a pallone, certo, ma pure con le sue idee non negoziabili e con la sua capacità innata di annusare i momenti chiave della storia, simbolo di riscatto sociale e baluardo dei “deboli” del mondo, nonostante egli stesso fosse debole e spesso vittime delle sue debolezze.

Messi, che gioca straordinariamente a calcio e ch’è sempre stato in qualche modo vittima di questa dicotomia, non sarà mai una rockstar del genere. Semplicemente non è nelle sue corde. Farà parte di quella pazzesca macchina di soldi e talento ch’è il Psg e non sembra, ad oggi, esserci strada più naturale. Non sembra possa esserci per Messi – abbandonato il Barcellona – vestito diverso. Perché così va oggi il mondo. E a Leo, che leader politico non è, e che è anzi figlio patinato del suo tempo, non potrebbe che andar bene così.

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