Malagò: «Aiutare il calcio, non vuol dire aiutare i ricchi. È un’industria come le altre»

Al Sole 24 Ore: «Il governo teme l'opinione pubblica. Ma aiutare la Serie A vuol dire sostenere la filiera dello sport italiano. Anche il no al betting è un freno»

Coni malagò sul calcio “Malagò Airways”

Roma 11/04/2019 - presentazione Internazionali di Tennis BNL / foto Samantha Zucchi/Insidefoto/Image nella foto: Giovanni Malago'

Il Sole 24 Ore intervista il presidente del Coni, Giovanni Malagò. Torna sul tema dello ius soli sportivo.

«Io non chiedo una nuova legge, ma devo ribadire che ho centinaia di richieste da parte di tutte le Federazioni relative ad atleti nati e formati in Italia, che a 18 anni stentano però a ottenere la cittadinanza e che finiscono per abbandonare lo sport o acquisire la nazionalità del paese dei genitori o, peggio, di paesi terzi che vanno a caccia di talenti. Ritengo che almeno per quegli atleti di prospettiva che a livello juniores abbiano vestito la maglia azzurra, debba essere sburocratizzato l’iter di riconoscimento della cittadinanza, che può durare anni».

E parla della situazione del calcio, alle corde per via della pandemia ed alle prese con una battaglia con il Governo per la riapertura degli stadi e aiuti economici ai club.

«Sono al fianco del presidente della Figc Gabriele Gravina. Vede, c’è un approccio che frena il Governo, laddove ritiene che gli aiuti alla Serie A sarebbero interpretati dall’opinione pubblica come un sostegno ai ricchi stipendi dei calciatori. Ma non è così. I ristori, le agevolazioni fiscali, la richiesta di una riapertura più ampia degli stadi, ovviamente compatibile con la sicurezza sanitaria, sono da equiparare alle legittime richieste di altri settori industriali. E sostenere il calcio professionistico significa proteggere tutto lo sport. I finanziamenti all’attività olimpica come allo sport di base e alle federazioni derivano dal gettito fiscale prodotto prevalentemente dalla Serie A, parliamo del 32% fissato dalla legge, di un prelievo pari a 1,2/1,3 miliardi all’anno. A me come a tutti i presidenti federali è chiaro che più il nostro calcio è competitivo e incassa, più ne guadagna l’intera filiera sportiva. Forse non a tutti lo è».

E sul divieto di sponsorizzazioni provenienti dal betting.

«Altro paradosso. Si privano di risorse i nostri club, per una scelta demagogica, e li si penalizza nella competizione con altri paesi che non hanno tali divieti. Ecco perché dico che lo sport italiano è costretto a competere con le mani legate dietro la schiena. È il momento di cambiare passo».

 

 

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