Sul Corriere. Gioca un calcio che non vediamo nei nostri stadi, a ritmi alti, senza fuoriclasse ma con giocatori che sembrano tutti bravi. Il ct ha costruito un’invenzione

“È la prima volta che il giocatore simbolo della Nazionale è il suo allenatore“.
Lo scrive Mario Sconcerti sul Corriere della Sera.
“Questa che sta partendo è invece per definizione la Nazionale di Mancini”.
Continua:
“L’Italia di Mancini non è figlia di nessuno. I diciassette che hanno giocato venerdì a Bologna vengono da dieci squadre diverse. Sassuolo e Juventus hanno in squadra lo stesso numero di giocatori, tre. L’Inter solo Barella, il Milan solo Donnarumma. Davanti a questa Babele Mancini ha capito che doveva fare a modo suo. Così non ha cercato una squadra, ha cercato il calcio. E per farlo doveva dimenticare quello che siamo, perché in Italia si gioca male e non siamo competitivi da tanti anni. Mancini ha rovesciato il concetto, non conta più la specializzazione del ruolo, conta la qualità dell’individuo per poter inventare ruoli diversi”.
Ci è riuscito.
“È questo lo spettacolo attuale: che per la prima volta una Nazionale non c’entra niente con il campionato. Gioca un calcio che non vediamo nei nostri stadi, a ritmi alti, senza fuoriclasse ma con giocatori che sembrano tutti bravi. Eppure Florenzi ha difficoltà a trovare una squadra; Chiellini e Bonucci sono vecchi e acciaccati; Berardi è ufficialmente discontinuo, Insigne a trent’anni ancora incompiuto; Locatelli si è appena ritrovato; Spinazzola è di cristallo; Chiesa gioca a testa bassa, Bernardeschi è scomparso, Cristante uno normale, Raspadori un ragazzo. Ma tutti giocano molto meglio in Nazionale. C’è un filo rosso che tiene insieme questi giocatori, nessuno dei quali ha ancora fatto cose eccezionali. Mancini ha costruito una squadra e qualcosa di più, ha costruito un’invenzione, una speranza, quella sensazione di vaga immortalità che fa capire di essere unici. Questo non basta per vincere, ma serve a capire un lavoro diverso”.