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Minà racconta Maradona il fuoriclasse che non viveva nella torre d’avorio

Maradona aveva intuito che il calcio era essenzialmente un sentimento popolare non convertibile in una marcia di denaro e potere

Minà racconta Maradona il fuoriclasse che non viveva nella torre d’avorio
La notizia dei sette avvisi di garanzia per un presunto omicidio volontario del campione argentino Diego Armando Maradona ha scosso il circo mediatico ma se si vuole sospendere per un attimo la necessaria cronaca stringente consigliamo il testo “Maradona: «Non sarò mai un uomo comune». Il calcio ai tempi di Diego (194 pagine, 16 euro) del giornalista Gianni Minà, per i tipi dell’ottima minimum fax.
Ebbene la morte di Diego ha dato la stura a tutta una serie di pubblicazioni operata da validi giornalisti – in maggioranza partenopei – che abbiamo letto e consigliamo in toto, ma il testo di Minà oltre a ripercorrere le varie fasi della vita del divin pedatore si intrattiene con profondità su qualcosa di altro rispetto al pure centrale campo di gioco. Maradona era un uomo sensibile “che non viveva avulso dalla realtà” e questa sua caratteristica lo portava a cercare una felicità che partendo dal campo di gioco gli garantisse un equilibrio di vita all’interno del suo clan familiare.
A Barcellona era sì il giocatore più talentuoso che in due anni segnò 45 reti vincendo due Coppe importanti e battendo innumerevoli volte gli odiati madridisti del Real, ma anche un argentino privilegiato che era tollerato perché portatore di percentuali solide di vittoria. Un infortunio causato dal basco Andoni Goikoetxea fermò il suo cammino di luce in campo ma i tempi erano maturi per il passaggio al Napoli ed alla Città partenopea dove si sapeva anche sopravvivere accontentandosi di un bel gesto.
Minà già in questi primi tempi in interviste esclusive riesce – con il filtro del giornalista-amico personale di Diego, Blanco – a passare l’esame per stabilire un contatto esclusivo giornalistico, umano e politico con il Pibe de Oro. È l’inizio di un rapporto professionale ed amicale che porterà Diego a considerare come referente autentico il giornalista torinese di nascita. Sono mille gli aneddoti che potrete trovare nel testo che segue la cronologia vitale maradoniana classica ma riteniamo che il portato più bello del testo di Minà – scritto con il raro merito di abbinare leggibilità a profondità – sia quello che si evince dalla prima intervista su la Repubblica che risale al 18 agosto del 1984 – “Un po’ piagnone, un po’ uomo. Il rumore del calcio” – dove Maradona che all’epoca aveva solo 24 anni fa capire come avesse non solo la reale consapevolezza del suo dono-talento, ma anche e soprattutto come avesse intuito in forza della sua intelligenza naif come il calcio fosse essenzialmente un sentimento popolare. Che neanche lui che ne era Pontefice massimo avrebbe potuto violare in nome di una acritica adesione alla lunga marcia del denaro o al potere del pallone. Diego da Villa Fiorito scelse la gente – nel senso del popolo – e regalò la fiamma della gioia che una sola volta dà l’essenza a napoletani ed argentini ed a quanti credono che il talento sia la base del merito. Ma basta per tutta una vita.
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